Per capire il significato dell’espressione “fiumana di persone” bisogna andare alla stazione di Shealda, a Calcutta. Mentre aspettavo le 12.45 che partisse il mio treno per Delhi, stavo seduto su un muretto della stazione e migliaia di persone mi passavano davanti in un flusso incessante. Faceva caldo, era stancante vedere tutte quella gente passare davanti agli occhi ed ero solo. Cosi’ cercai un angolo piu’ solitario possibile della stazione dove sedermi, cantare japa o leggere.
Lo trovai ma certo non c’e’ nessuna parte dove sfuggire a mendicanti di vario genere.
Uno di questi mi vide da lontano e mi si avvicino’. Avevo lo sgabelletto e la spazzola, puliva le scarpe. Non molti avevano le scarpe, faceva gia’ caldo a Calcutta, quasi tutti portavano sandali. Anche io portavo sandali di plastica.
Lui era bassino, scuro di pelle, le gambe storte, il viso irregolare, i capelli biancastri mai pettinati da mesi e anni, i vestiti avevano un colore oramai dimenticato e ricoperti di polvere e sporcizia di ogni tipo. Aveva un occhio piu’ piccolo dell’altro e spostato in basso, uno sguardo sinistro, le pupille di colore diverso le une dalle altre. Per essere
venuto cosi’ brutto, pensai, costui deve avere fatto chissa’ che attivita’ peccaminose nella vita precedente. Sembrava la personalita’ di Kali in persona.
Mentre si avvicinava io gli feci cenno che non avevo scarpe e che quindi non ero interessato ai suoi servizi. Lui si avvicino’ comunque e mi guardo’ i sandali. Sembro’ convinto ma continuava a fissarmi. Io gli mostrai il sacchetto in cui la mia mano era sprofondata mentre cantavo e lo invitai a fare altrettanto.
“Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare – Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare”, dissi io sorridendo. Lui fece un sorriso bieco e di sbieco e ripete’ con un forte accento bengali: “Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare – Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare”.
Si fermo’ davanti a me e disse:
“Come mai degli Occidentali accettano come Dio un Dio hindu?”
Io rimasi sorpreso dalla domanda. Anche la sua voce era sorprendente. Era calda, gentile e comunicativa. Aveva un ottimo inglese e un ottimo accento britannico. In genere in India non ti aspetti domande del genere da persone cosi’.
“Dio e’ come il sole,” risposi. “Ora splende su Kolkata (Calcutta) ma non e’ di Kolkata. Splende a questo stesso momento anche in altri paesi indiani ma nessuno dice ‘il sole e’ mio’. Cosi’ Krishna non e’ un Dio hindu ma e’ Dio, di tutti. Jagannatha, il signore di jagat, dell’universo intero.”
“Si’, ma ora da qualche parte il sole non splende,” ribatte’ lui. “E allora dove c’e’ il buio puo’ darsi che il sole sia un altro.”
“E’ solo questione di tempo,” ribattei io, “e il sole comincera’ a splendere dove ora non splende. E’ solo questione di tempo ma il sole e’ lo stesso. Lui si sposta dove vuole. Fra qualche ora sara’ anche in Italia e poi in America ma il sole e’ lo stesso. Cosi’ Dio e’ uno, non c’e’ un Dio degli hindu, un Dio degli italiani e un altro degli americani. Krishna e’ Dio.”
Lui sorrise e sembro’ che lo avessi convinto. Poi con un aria sorniona, quasi a volermi mettere alla prova, disse: “Ma Vasudeva e’ Devakinandana. Kams ne uccise sette prima di vedere Vasudeva in cielo che lo rimproverava…”
Io lo bloccai e lo corressi: “No, Kams ne uccise sei, non sette.”
Un altro sorrisetto sinistro e aggiunse: “allora Vasudeva era il settimo figlio di Devaki…”
“No no,” lo fermai io, “Vasudeva Krishna era l’ottavo figlio di Devaki. Il settimo era Balarama, che si sposto’ nel ventre di Rohini. Sembro’ un aborto ma Balarama si sposto’ dal ventre di Devaki al ventre di Rohini. E poi non era Krishna a librarsi in cielo e a rimproverare Kamsa. Era Yogamaya, venuta in quetso mondo come Sua sorella. Krishna era al sicuro a Gokula.”
Lui mi disse: “Giusto. Gokul, a Mahavan.”
Costui mi stava mettendo alla prova e il suo sorriso sembrava di sfida.
“Si’, Gokul, dall’altra parte della Yamuna. Vasudeva attraverso’ la Yamuna e mise Krishna al sicuro a casa di Nanda Baba.”
Parlammo di tante cose. Io gli dissi di smettere di fumare e di bere chai (una bevanda a base di latte e the molto comune in India) e lui mi disse che lo avrebbe fatto.
Dopo circa un’ora di dialogo filosofico piacevole lui mi lascio’ per andare a pulire le scarpe della gente per guadagnarsi da vivere. Non mi chiese soldi ne’ elemosina. Aveva voluto solo parlare di Krishna con me.
Nella mia mente lo chiamai Bhakta Kali. Nonostante il suo aspetto preoccupante era un devoto venuto a farmi passare un’ora gradevole nella rumorosa e affollatissima stazione di Shealda.
:: Manonatha Dasa (ACBSP) ::
Intervento:
Che storiella simpatica, mi è piaciuta molto. Govinda Dasa
Intervento:
Anche a me!!! Satyayani
Questa è una sezione del libro “Il Microfono di Dio”, in lingua italiana.
Per acquistare il libro completo, clicca qui sopra
Post view 230 times