Non lontano dal loro accampamento, vivevano un Rakshasa di nome Hidimba e la sorella Hidimbi. Da anni i due spargevano morte e dolore e gli abitanti di quella regione tremavano solo a sentirne parlare. E accadde che, nonostante la lontananza, Hidimba sentì la loro presenza.
“Sento odore di carne umana,” disse alla sorella, “ci devono essere degli uomini non lontano da noi. Saranno degli stranieri. Non sanno che questa è la mia foresta? Che folli sono stati ad avventurarsi in un posto come questo senza conoscerlo. Sorella, vai lì subito. Ho fame: uccidili e portami le loro carni.”
Prontamente Hidimbi obbedì e corse nella direzione che il fratello le aveva indicato, finché, giunta sul posto, vide cinque figure che dormivano e una che montava la guardia seduta su di un masso: era un uomo dallo sguardo furibondo, che stringeva i pugni per la rabbia e mormorava terribile minacce. Osservandolo meglio, notò il portamento nobile, il corpo possente e i lineamenti magnifici. In quel momento le frecce di Kamadeva colpirono il cuore della Rakshasi che abbandonò qualsiasi pensiero omicida.
“Come si può ammazzare un uomo così bello e nobile?” pensò. “Non riuscirò mai a farlo. Mi piace, mi ha stregato il cuore, e non riesco neanche a pensare di doverlo eliminare. Al contrario, userò le mie arti per convincerlo ad accettarmi come moglie e ad amarmi.”
Rapita dall’amore per Bhima dimenticò il demoniaco fratello che intanto diventava sempre più impaziente di gustarsi il prelibato pranzetto procuratogli da Hidimbi. Così, quando dopo i primi attimi di sbandamento costei si ricordò della sua missione, le crollò il mondo addosso.
“Se non gli obbedisco, mio fratello è capace di ucciderci tutti.”
Per un po’ fu torturata dall’incertezza, poi il forte sentimento d’amore che aveva inesorabilmente stregato il suo cuore prevalse sulla paura, per cui assunte le fattezze di una avvenente ragazza, uscì dal nascondiglio e andò incontro a Bhima.
Quando questi la vide sospettò subito che la fanciulla nascondeva qualcosa di strano.
“Chi sei?” le chiese. “Cosa fa una ragazza giovane come te in una foresta infestata da animali feroci e da Rakshasa? Sei tu stessa un Rakshasa? Si sa che questi esseri demoniaci possono prendere qualsiasi fattezza, anche quelle di una donna giovane e carina.”
Lei non tentò neanche di mentire; sapeva che aveva poco tempo per salvarli dal crudele fratello.
“Io sono Hidimbi, la sorella del Rakshasa Hidimba. Mio fratello ha sentito la vostra presenza e mi ha mandata qui per uccidervi, così da potersi sfamare. Ma io, dopo averti visto, non me la sono sentita. Voi correte un pericolo mortale. Vi prego fuggite immediatamente. E’ già parecchio tempo che sono partita, perciò fra poco mio fratello comincerà ad insospettirsi del ritardo e verrà di persona.”
Bhima capì il sentimento che spingeva la Rakshasi a metterli in guardia, ma non provò alcuna apprensione.
“Se tuo fratello vuole venire a combattere, che venga pure,” rispose scrollando le spalle. “E se vuole cibarsi dei nostri corpi, se li guadagni. Mia madre e i miei fratelli hanno camminato per tutta la notte e sono stanchi; di certo non li sveglierò per un Rakshasa.”
“Mio fratello ha la forza di centinaia di elefanti,” rispose la ragazza alquanto sorpresa da quelle parole, “e nessuno mai è riuscito a vincerlo in duello. Ti prego, tu non sai ciò che dici: fuggite senza perdere altro tempo.”
Bhima non restò per nulla impressionato dalla descrizione della forza del Rakshasa e continuò a dirle che non aveva alcuna intenzione di disturbare i suoi familiari.
Nel frattempo l’affamato Hidimba cominciava a chiedersi la ragione di tanto ritardo e a scalpitare per l’impazienza; dopo un po’ pensò che fosse meglio andare a vedere di persona cosa stava succedendo. Ci si può immaginare la rabbia e lo stupore del demone quando, giunto sul posto, trovò la sorella che parlava allo sconosciuto, e si avvicinò per sentire ciò che diceva. Quando la sentì metterlo in guardia del pericolo che correvano, un violento colpo d’ira gli offuscò la vista e gridò con furia inaudita:
“Vi ucciderò tutti!”
E si lanciò contro di loro. Vedendo il Rakshasa sopraggiungere minaccioso, Bhima si alzò di scatto e gli corse incontro. La collisione dei due corpi fu così violenta che produsse un rumore forte come un tuono. La lotta diventò subito furibonda: una nuvola di polvere circondava i due avversari che si battevano con ogni arma che trovavano a disposizione, alberi e rocce compresi. Il clamore di quella battaglia svegliò i fratelli e la madre che si resero subito conto della situazione. Arjuna voleva intervenire, ma i due corpi erano così vicini l’uno all’altro e si muovevano con tale rapidità che sarebbe stato facile sbagliare bersaglio, per cui decise di lasciar fare a Bhima.
Fu solo dopo diverse ore che il terribile duello si risolse a favore del Pandava. Afferrato il Rakshasa in una stretta ferrea, facendo leva sul suo possente ginocchio gli spinse un braccio sul collo e l’altro sulle gambe, spezzandogli la spina dorsale. Hidimba lanciò un grido spaventoso e perì. Era l’alba, il sorgere del sole segnò la fine del combattimento.
Poiché oramai la notte era trascorsa, i Pandava si prepararono a lasciare quel posto e misero insieme le cose che avevano portato con loro. La Rakshasi Hidimbi era ancora lì, che guardava Bhima senza dire una parola. E anche quando si furono avviati, lei li seguì, senza parlare. Kunti, che aveva compreso il sentimento della donna, disse al figlio:
“Bhima, quella ragazza ti vuole per marito. E’ stata lei ad aiutarci, andando contro il volere del fratello. Ora non ha nessuno che può proteggerla e credo proprio che tu debba accettarla e contraccambiare i suoi sentimenti.”
“Ma Yudhisthira non è ancora sposato,” ribatté Bhima, “e non è corretto che io lo faccia prima di lui senza il suo consenso. Chiedi dunque al mio fratello maggiore, e se lui non avrà nulla da obiettare, io sposerò questa Rakshasi.”
Yudhisthira diede il suo consenso, e il giorno stesso i due si sposarono e andarono a vivere da soli per un certo periodo.
Dalla loro unione nacque un figlio, Ghatotkacha, che in poco tempo divenne forte come il padre. Dopodiché Bhima salutò la moglie e il figlio e si riunì ai familiari, che ripresero il viaggio.
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