I figli di Rama

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Narada gli aveva raccontato solo un riassunto della storia, e Valmiki sentì la necessità di conoscerne tutti i particolari. Così si sedette in posizione yoga e si immerse in una profonda meditazione. E come per miracolo vide l’intera vicenda svolgersi davanti a sé, vera e vivida come se stesse assistendovi di persona. E cominciò a scriverla, a comporre il Ramayana.

Quando Rama tornò sul trono di Ayodhya, Valmiki aveva completato la stesura del poema, composta di 24000 shloka. Dopo averlo terminato, pensò al modo di comunicarlo al mondo intero.

Un giorno vennero a trovarlo i due principi Kusha e Lava che vivevano nella foresta. Essi non erano altri che i due figli di Rama nati dopo l’esilio di Sita. Valmiki quindi insegnò loro il Ramayana, chiedendo che andassero poi a cantarlo in giro per le città del mondo. E i due ragazzi furono felici di soddisfare il desiderio del grande saggio. La fama dei giovani e della storia che cantavano si diffuse velocemente ovunque.

Kusha e Lava narrano il Ramayana al padre

Nel loro peregrinare, un giorno Kusha e Lava arrivarono ad Ayodhya e cominciarono a cantare il Ramayana per le strade della favolosa città. Appena il re Rama venne a sapere che i due cantori erano arrivati nella sua capitale volle vederli, ignaro del fatto che fossero i suoi stessi figli. Li convocò nell’arena dove stava conducendo un grande sacrificio e, quando i due giovani entrarono, ammirò la loro grazia e la loro nobiltà di portamento.

“La fama vostra e della storia che narrate,” disse loro Rama, “è arrivata alla mia conoscenza. Tutti ne parlano con grande entusiasmo. Mi è stato detto che il compositore è il venerabile Valmiki Muni, un saggio tra i più grandi e onorati che ci siano. Potete capire la mia curiosità. Vi prego, recitatela qui, davanti a me; cantate la storia di cui io stesso fui il protagonista.”

E così Kusha e Lava cominciarono a cantare il grande poema, il Ramayana.

Inizia la narrazione del Ramayana

Sulle rive del Sarayu si ergeva la città di Ayodhya, capitale del regno di Koshala. Le opulenze di questo regno erano inenarrabili, in special modo quelle della sua capitale.

Ayodhya misurava 12 yojana in lunghezza (circa 153 chilometri) e tre in larghezza (circa 38 chilometri) ed era la più bella città mai esistita. Con tutte quelle opulenze i cittadini erano completamente soddisfatti e felici.

Il re si chiamava Dasaratha, un raja pio e dotato di ogni virtù, in tutte le qualità simile ai più grandi re della tradizione vedica, così valoroso in combattimento che mai conobbe sconfitta. Dasaratha era assistito da due famosi brahmana che si chiamavano Vasistha e Vamadeva. I brahmana a quel tempo erano le guide spirituali, coloro che provvedevano non solo all’educazione spirituale, ma anche ad ogni altra educazione necessaria alla vita terrena. I brahmana erano i saggi, gli intellettuali, i sacerdoti, tenuti in grande riguardo da tutti i re del tempo. Dasaratha aveva numerosi altri consiglieri, tutti famosi e rispettati per la loro integrità, come Suyajna, Javali, Kasyapa Muni, Gautama, Markandeya e Katyayana. E aveva otto ministri, fra cui il più conosciuto era Sumantra.

 

Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.

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