Il carro Puspaka

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“In quel periodo Ravana viaggiò e combatté contro chiunque gli capitasse a tiro. Ovunque andava la scena era la stessa: morte, saccheggiamenti, desolazione, dolore. Essendo venuto a sapere di tutti questi misfatti, Kuvera intervenne e gli mandò un messaggio, invitandolo a non comportarsi più in quella maniera. Ravana si arrabbiò per l’impudenza del fratello, uccise il messaggero e marciò contro Kuvera stesso. La battaglia fu terribile: alla fine Ravana vinse e si impossessò del meraviglioso carro Puspaka.

“Con quel prestigioso trofeo di vittoria, continuò a viaggiare; e visitò il luogo dove era nato Kartikeya.”

“Un giorno i Raksasa arrivarono alla collina Kailasa: lì inspiegabilmente il carro Puspaka si fermò e non fu possibile farlo ripartire. Ravana scese e cercò di capirne le ragioni. D’un tratto vide davanti a sé Nandi, l’assistente principale di Shiva, che aveva preso le fattezze di una scimmia. Capì che Puspaka non voleva ripartire per rispetto al più grande dei Deva.

“Nandi guardò con severità il Raksasa e disse:

“In questa collina vive il Signore Shiva in compagnia di sua moglie Parvati. Nessuno può passare di qui. Scegli un’altra strada. Neanche tu puoi trasgredire questa legge.”

“Mentre Nandi parlava, Ravana scoppiò a ridere, trovando buffa la sua faccia di scimmia.

“Tu hai riso nel vedere la mia faccia di scimmia,” riprese Nandi, “e mi hai così schernito. A causa di quest’offesa, sappi che la distruzione del tuo popolo avverrà per mano di una razza di scimmie.”

“Incurante della maledizione, Ravana, considerandosi superiore a Shiva stesso, di colpo sollevò la collina Kailasa. Tutti tremarono dallo spavento e dovettero reggersi per non cadere. Persino Parvati dovette aggrapparsi al collo del Signore per non cadere.

“Chiunque sia stato a causare questo disturbo,” sentenziò adirata la dea, “lo maledico a essere distrutto da una donna.”

“Shiva non sembrava disturbato dall’incidente; solenne e assorto in meditazione, non si mosse e non disse nulla. Ma pose il suo alluce sinistro sul terreno. A causa di quell’alluce la pressione fu così forte e repentina che Ravana non riuscì più a sostenere il peso e la collina ricadde giù con fragore, imprigionando le sue braccia. E nonostante esercitasse tutta la sua forza non riuscì a liberarsi. Allora Ravana gridò con grande furia e quel grido riecheggiò per tutto l’universo, terrorizzando le entità viventi.

“Quando vide che i suoi tentativi erano inutili, capì chi fosse Shiva e cercò di propiziarselo, recitando molte preghiere in sua lode. Ravana rimase in quella dolorosa posizione per migliaia di anni. Ma alla fine Shiva lo perdonò e lo liberò.

“Il tuo grido ha spaventato tutti i popoli dell’universo,” gli disse. “Per questo da oggi sarai conosciuto col nome di Ravana e ti regalerò anche la mia spada personale, Candrahasa.”

“Anche dopo quell’esperienza il Raksasa non cambiò la sua mentalità crudele. Appena fu libero riprese a viaggiare e a compiere le stesse malefatte di sempre. 

 

Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.

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