Il principe lo guardava sbigottito.  

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“Guarda lì, quell’albero shami. Tempo fa, degli eroi hanno nascosto sulla sua cima le loro armi tutte di origine celestiale. Vai a prenderle: con quelle non potremo perdere.”

 Condotto a forza all’albero, Uttara portò giù il grosso fagotto e quando lo aprì dovette coprirsi gli occhi per proteggersi dal bagliore.

 “Queste sono le armi dei Pandava,” disse Arjuna, “e quest’arco è Gandiva. Tutte queste armi sono state date donate loro dagli stessi Deva. E chiunque le possiede acquista una forza incomparabile.”

 Così il grande eroe, dopo essersi chinato a terra per porgere loro i rispetti, afferrò Gandiva e lo sollevò; e fece vibrare la corda con un vigore impressionante, che causò un tuono talmente assordante che fece tremare i soldati Kurava. Nessuno Kshatriya al mondo ignorava quel suono inconfondibile.

 “E’ Arjuna, è Arjuna,” mormorarono tutti in gran fermento. “Stanno arrivando i Pandava. Che i Deva ci proteggano.”

 Un panico irrefrenabile si diffuse tra i soldati. 

Ciò fece arrabbiare Duryodhana.

 “Questo terrore che si è impadronito delle nostre truppe è colpa tua,” disse a Bhishma con tono seccato. “Qual è il tuo scopo nel diffondere una paura immotivata? Prima di tutto dovremmo essere ben contenti se quel suono appartiene a Gandiva, poichè ciò significa che Arjuna si è scoperto. Ma se pure egli desideri combattere contro di noi, per quale ragione dovremmo preoccuparci? Abbiamo un possente esercito guidato dai più forti generali del mondo per cui non dovremmo temere neanche i Deva con Indra a capo. Questa tua inquietudine non ha ragione di essere.”

 Bhishma, che era un maestro di astrologia, smentì seccamente il nipote.

 “Ti sbagli ancora, Duryodhana. Posso assicurarti che il tredicesimo anno è terminato nel momento esatto in cui Arjuna ha fatto vibrare Gandiva, e per quanto riguarda la battaglia contro di lui, fra breve ti accorgerai perchè sono così allarmato.”

 Nel frattempo Arjuna, per rincuorare il principe che a quel punto cominciava a sentirsi particolarmente confuso, gli aveva rivelato la sua identità, quella dei fratelli e della moglie. Poi lo aveva messo alla guida del carro spronandolo ad andare contro i Kurava.

 Mentre il carro da guerra si avvicinava sollevando grandi nubi di polvere, i peggiori presagi apparvero nel cielo sovrastante i Kurava: segni che profetizzavano la sconfitta. Tutti i più esperti misero Duryodhana in guardia.

 Fu a quel punto che la furia di Karna esplose.

 “Basta con queste glorificazioni irragionevoli di quel singolo uomo che niente può fare contro di noi. Se avete paura di lui, fatevi da parte, andate a nascondervi, e io darò la vittoria al nostro Re.”

 Offesi da quelle parole, Kripa ed altri reagirono verbalmente. Asvatthama addirittura, sentendo insultare il padre, stava per scagliarsi contro il figlio di Surya con furia omicida. Ma Duryodhana riuscì a placare gli animi. E si cominciò a disporre le difese, in attesa dell’urto con il celebre figlio di Indra. Il carro era ancora lontano quasi due chilometri, quando tre frecce caddero ai piedi di Bhishma, Drona e Kripa: era un segno di saluto e di rispetto. A quel gesto i tre venerabili acarya sorrisero e benedissero Arjuna.

 Fu una grande battaglia.

 L’incontenibile Pandava sconfisse uno ad uno tutti i maharatha presenti sul campo, riuscendo persino a far perdere i sensi ai sei più grandi, Kripa, Asvatthama, Karna, Bhishma, Duryodhana e Drona. A ognuno portò via un trofeo di vittoria. Massacrati a migliaia, i soldati Kurava si ritirarono disordinatamente oltre i confini: quel giorno era letteralmente impossibile combattere contro Arjuna, che sembrava la morte fattasi uomo.

 

Questa è una sezione del libro “Maha-Bharata Vol. 1”, in lingua italiana.

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