La nascita dei ragazzi portò una ventata di grande felicità nel regno dei Pandava. Tutti erano contenti e in ogni città e villaggio di Indra-prastha si festeggiò per giorni l’avvenimento.
I Vrishni erano ripartiti, ma Krishna era rimasto. La sua presenza conferiva alla corte un’atmosfera di spiritualità e di gioia, e specialmente Arjuna, con il quale trascorreva la maggior parte del tempo, era felice della sua presenza. Un giorno i due amici stavano passeggiando lungo le rive dello Yamuna, nella vicinanze della foresta di Khandava e stavano parlando dell’infanzia di Krishna, dei suoi genitori adottivi Yashoda e Nanda, dei suoi amici e familiari, delle gopi, prima fra tutte Radharani, quando un brahmana dallo splendore simile a quello del sole si avvicinò a loro. Il suo portamento era così solenne, la sua figura così alta e maestosa che i due si alzarono in piedi e lo salutarono con rispetto.
“O brahmana che splendi come un deva,” lo salutò Krishna, “dicci cosa possiamo fare per te.”
“Sono malato,” rispose lui. “Da tanto tempo soffro di un grave male e i medici mi hanno assegnato una dieta per ritrovare la salute; ma non trovo nessuno che sia in grado di fornirmi gli alimenti di cui ho bisogno. Voi siete guerrieri famosi in tutto il mondo e il primo dovere della vostra classe sociale è di sostenere e aiutare i brahmana. Vorreste aiutarmi a trovare gli alimenti di cui necessito?”
“Certamente, siamo disposti a fare qualsiasi cosa per te,” dissero i due. “Cosa dobbiamo fare?”
Lo strano personaggio decise di rivelare la sua vera identità.
“Cari amici, io non sono un brahmana, ma Agni, il deva del fuoco, colui al quale i brahmana offrono tutti i sacrifici vedici. Vi racconterò come è accaduto che mi sono ammalato.
“Molto tempo fa il re Svetaki celebrò cinque sacrifici del fuoco che durarono dodici anni, e fece versare nelle fiamme una tale quantità di ghi che gradualmente le mie condizioni di salute si sono rovinate. Da quel giorno smisi di ardere negli hotra vedici, per cui i brahmana si allarmarono al punto da spaventarsi: non ardendo il fuoco sacro l’intera società soffriva per mancanza di virtù e di necessità materiali. Allora Brahma intervenne e mi disse: “Devi ricominciare a bruciare!” Io gli risposi che ero malato e che non potevo. E lui ribatté: “Per ritrovare la salute devi divorare con le tue fiamme la foresta di Khandava”.
“Così sono venuto subito in questo luogo e ho cominciato a causare incendi. Ma sfortunatamente qui vive con tutta la sua famiglia il serpente Takshaka, che è un grande amico di Indra, per cui ogni volta che tento di bruciare Khandava lui fa cadere fiumi di acqua che spengono le mie fiamme e io sono costretto a ritirarmi. Da allora la mia salute è andata peggiorando sempre più e devo assolutamente guarire. Io ho bisogno di due potenti guerrieri che sappiano tenere lontano Indra dalla foresta: solo così avrò la possibilità di divorarla. Aiutatemi, e ve ne sarò riconoscente.”
Senza indugio, i due amici accettarono di aiutare Agni.
“Però se dovremo combattere contro i deva,” dissero, “avremo bisogno di armi. Con queste che abbiamo non riusciremmo ad affrontare una simile battaglia. Procura delle armi adatte, dunque.”
Questa è una sezione del libro “Il Maha-bharata”, in lingua italiana.
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