Ora riassumiamo il terzo adhyaya, che tratta principalmente del sadhana, o dei mezzi grazie ai quali è possibile raggiungere Brahman.
Quando l’anima abbandona il corpo materiale, viene accompagnata dal suo corpo sottile, e raggiunge i pianeti o le forme di vita che ha meritato. Dopo aver goduto delle ricompense che si ottengono grazie alle attività pie, è costretta a tornare sulla Terra.
Il karma non si esaurisce completamente nei pianeti superiori: una parte resta, e da lì si ricomincia una nuova serie di vite nelle specie umane.
Ma non tutti vanno sui pianeti celesti. Chi ha agito in modo contrario alle ingiunzioni religiose, si ritrova nel regno di Yamaraja, il Dio della morte, dove riceve una sorta di punizione.
Viene analizzato lo stato di sonno e il mondo dei sogni, che vengono creati da Maya. A riguardo di questi ultimi, non tutti sono privi di significato: certuni sono profetici.
Poi si ritorna sull’argomento delle qualità del Supremo Brahman, e si afferma che, essendo Egli assoluto, il Suo corpo non è differente dal Signore stesso. Ma questo corpo non può essere percepito dai sensi fisici, bensì da quelli spirituali dei devoti che hanno realizzato la verità. E ancora torna la polemica con i Mayavadi, che affermano l’identità del Soggetto Venerato (Dio) con colui che venera (l’anima individuale). L’anima non è un riflesso del Supremo, ma una scintilla energetica personale.
Vengono poi discussi gli Ekantin, i devoti che si concentrano sull’adorazione di una forma particolare del Signore. Badarayana consiglia loro di non mescolare attributi che sono propri di forme diverse.
Giungiamo ora all’argomento principale del terzo libro del Brahma-sutra. Il metodo di realizzazione consigliato è la meditazione su Brahman. Ma ci sono differenti tipi di pratiche meditative, così come ci sono diversi soggetti su cui concentrare l’attenzione. Uno dei più efficaci è la recitazione costante dei nomi di Hari (Krishna, Rama, Govinda ecc.). Tutte queste discipline vengono sviscerate nei sutra di questo capitolo. Vengono consigliate anche quelle meditazioni che vengono definite negative, come “soham” e altre, sempre che si comprenda che la jiva può identificarsi nel Supremo solo in un momento di estasi e che mai diventa uguale a Lui.
Quando grazie a queste devozioni il devoto vede il Signore, mukti (la liberazione) è ottenuta. Non c’è altro mezzo. Le azioni corrette (karma), la conoscenza speculativa (jnana) e le pratiche ascetiche (yoga) non producono direttamente la liberazione.
Un elemento particolarmente indicato per la purificazione è il sat-sanga, o la compagnia costante dei trascendentalisti, i quali possono guidare l’aspirante attraverso il difficile sentiero della bhakti (la devozione).
Certamente la conoscenza spirituale (brahma-vidya) è ben più importante del karma (azioni pie), ma si devono sviluppare le qualificazioni necessarie. In questi sutra vengono specificate le qualità. Ma la liberazione non segue in modo automatico la conoscenza; in altre parole, la vidya è solo uno strumento valido, ma a meno che non si conquisti la misericordia del Signore non è possibile trascendere l’impenetrabile oceano dell’ignoranza.
Poi vengono discussi i diversi tipi di devozione e di devoti.
Questa è una sezione del libro “Filosofie dell’India”, in lingua italiana.
Per acquistare il libro completo, clicca qui sopra
Post view 1167 times