Il fratello minore di Ravana era il mostro più spaventoso che il mondo avesse mai conosciuto. Era enorme, possente, invulnerabile a qualsiasi arma, spietato in combattimento. Era davvero una fortuna per tutti che per la benedizione di Brahma spesso cadeva in un sonno profondo che durava mesi. Ravana era determinato a ricorrere al fratello per vincere quella guerra che si stava mettendo male.
Centinaia di soldati furono mandati nel gigantesco palazzo di Kumbhakarna e cercarono di svegliarlo in tutte le maniere. Lo chiamarono gridando a squarciagola, batterono tamburi, suonarono strumenti direttamente nel suo orecchio, gli saltarono sopra, ma fu tutto inutile: non si svegliava. Quando respirava provocava un vento impetuoso che spostava chiunque ne fosse investito. Mille elefanti vennero fatti passare sul suo corpo gigantesco. Infine si mosse, leggermente. Stava svegliandosi. Si alzò e vide tutta quella gente intorno a lui e chiese cosa stesse succedendo. Tutti furono contenti di essere riusciti a svegliarlo.
“Grande Kumbhakarna,” gli dissero, “c’è una situazione di grande gravità che richiede il tuo intervento. Tuo fratello, il re, ci ha ordinato di venire a svegliarti. Ti aspetta. Vuole parlarti.”
Dopo essersi sfamato con molta carne e sangue caldo, Kumbhakarna si recò dal fratello.
Quando uscì dal palazzo e camminò all’aperto, l’effetto che fece fu sconvolgente. Era così alto e maestoso che era visibile a chilometri di distanza. Fuori dalle mura i Vanara lo intravidero e rabbrividirono di terrore: tutti si chiesero chi fosse quel colosso. Rama lo chiese a Vibhisana.
“Vibhisana, chi è quel gigantesco mostro? Lì, quello. Quando cammina fa tremare la terra e i nostri guerrieri, anche i più coraggiosi, ne sono rimasti impauriti.”
Vibhisana lo guardò e sembrò visibilmente preoccupato.
“Quello è il mio fratello maggiore, Kumbhakarna. Se scenderà sul campo di battaglia dovremo prepararci a un scontro durissimo. Kumbhakarna è terribile quando combatte.”
Incoraggiando i soldati e dando loro istruzioni, Rama si preparò allo scontro.
E mentre i suoi nemici si preparavano, Kumbhakarna entrò nel palazzo reale. Ravana lo rivide con gioia. Raccontò gli ultimi sviluppi della crisi. Solo allora Kumbhakarna seppe quanti bravi amici e soldati erano morti. Fin dall’inizio non aveva mai condiviso il comportamento del fratello, per cui tutto ciò confermò solo quanto lui e pochi altri avessero visto giusto.
“Potente Kumbhakarna,” disse Ravana, “dammi sollievo da questa grande ansietà. Il mio nemico si sta dimostrando più forte del previsto e molti dei nostri cari amici hanno già perso la vita. Persino Prahasta è morto. Tu puoi liberarmi dal peso di questa angoscia. Aiutami, ti prego.”
“Fratello mio,” rispose Kumbhakarna rattristato da quelle notizie, “tu non hai voluto ascoltare i buoni consigli dei tuoi veri amici, primi fra cui Vibhisana, che hai cacciato via e che ora si trova tra le file dei tuoi nemici. Queste sono le reazioni che ora devi raccogliere. Io non ho mai condiviso il tuo comportamento al riguardo del rapimento di Sita, ma ti sei fatto sopraffare dalla lussuria e dai cattivi consiglieri. Comunque, ormai siamo andati troppo oltre per sperare in soluzioni diverse. Come ti dissi già in precedenza, io sono pronto a combattere e, se necessario, a rinunciare alla mia vita per te. Ma ricorda quello che ti ho già detto: ognuno raccoglie ciò che semina.”
Ravana, ascoltato quello che voleva ascoltare, e cioè che suo fratello sarebbe sceso sul campo di battaglia, non dette peso ai rimproveri, sicuro della vittoria finale.
“Non sai quanto mi fai felice sentendoti parlare così,” replicò. “Non è mai esistito qualcuno che potesse fronteggiarti. Vai dunque, e distruggi i nostri nemici.”
Prima di andare Kumbhakarna rimproverò ancora Ravana per i suoi errori e Mahodara, uno dei generali, ribatté e riprese a sua volta Kumbhakarna. Nel corso della discussione, Mahodara suggerì di mettere in atto uno stratagemma per conquistare Sita e porre fine alla guerra.
Kumbhakarna, sdegnato, rifiutò ogni trucco, ritenendoli indegni di un guerriero valoroso e decise di scendere subito sul campo di battaglia. Dopo aver riunito il suo esercito, il più grande Raksasa mai esistito uscì dalle mura della città e si diresse dove la battaglia stava infuriando.
Quando i Vanara videro l’orribile mostro avvicinarsi con gli occhi dilatati dalla furia che brillavano come tizzoni ardenti, fuggirono terrorizzati. Angada, vedendo le truppe messe in fuga da Kumbhakarna, recuperò i fuggitivi e li rincuorò. E, con un atto di supremo coraggio, si lanciò contro il nemico. Si scatenò una terrificante battaglia.
Il Raksasa causò subito una spaventosa carneficina e i Vanara superstiti fuggirono terrorizzati. Non c’era verso di combattere contro quella montagna semovente, contro la quale ogni arma sembrava inefficace. Angada organizzò un altro battaglione formato dai soldati più valorosi e guidato dai migliori generali, e marciò ancora contro il grande Raksasa.
Le ostilità divamparono più feroci che mai. E Kumbhakarna causò perdite gravissime al nemico. Combatteva con ogni mezzo a disposizione, con furia inaudita, divorando inarrestabilmente decine di grandi Vanara alla volta. Così tanti se ne gettava in bocca che molti fuoriuscivano dalle narici o dalle orecchie. Attaccato da ogni parte da migliaia di nemici arrabbiati, incurante delle numerose ferite causategli dalle lance, dalle spade, dalle mazze, dai macigni, e persino dai morsi e dai graffi, Kumbhakarna continuò a distruggere intere divisioni di possenti Vanara, tutti forti come leoni e veloci come il vento. Sembrava invulnerabile, nessun’arma aveva effetto su di lui.
Sconfiggendo grandi generali come Hanuman, Kumbhakarna sembrava la morte personificata: ovunque andava mieteva vittime. Oramai i più tentavano solo di fuggire appena si avvicinava. Coperto dalla testa ai piedi di armi, di sangue, di corpi di nemici vivi e morti, Kumbhakarna era impressionante a guardarsi.
Prendendo coraggio, il forte Angada spiccò un salto prodigioso e colpì al petto il Raksasa con il suo potente pugno. Per la prima volta Kumbhakarna sembrò accusare il colpo. Ma subito si riebbe e colpì di ritorno. Il valoroso Vanara, proiettato lontano dalla violenza del colpo, svenne.
Sugriva, infuriato dalle perdite che il suo esercito stava subendo per colpa di quel mostro, intervenne e, nel mezzo del clamore della battaglia, ingaggiò un frenetico duello. Colpito da Kumbhakarna, perse i sensi. Vedendo il re dei suoi nemici sul terreno svenuto, Kumbhakarna decise di portarlo prigioniero a Lanka. Così lo afferrò, lo caricò sulle spalle e si diresse verso la città. Nessuno tentò di ostacolarlo. Quando videro Sugriva catturato, i Vanara pensarono che ormai non fosse più possibile sperare nella vittoria finale.
Lo scoraggiamento fu totale.
Quando lo videro entrare in città con il re dei Vanara prigioniero, Kumbhakarna venne festeggiato da tutti. In quel momento Sugriva riprese coscienza e si accorse di cosa era accaduto. Si vide trasportato dal gigantesco Raksasa dentro la città circondato da migliaia di nemici festanti che credevano ormai vinta la guerra. Immediatamente reagì, con violenza. Con le unghie strappò metà dell’orecchio del colosso e con i denti gli tranciò il naso. Kumbhakarna, gridando dal dolore, prese il Vanara e lo gettò in terra.
Rimbalzando prodigiosamente come una palla, Sugriva spiccò un salto e si riunì al suo esercito. Tutti festeggiarono l’inconcepibile impresa di Sugriva.
Rama uccide Kumbhakarna
Fuori di sé dalla rabbia, ferito e sanguinante, Kumbhakarna afferrò una gigantesca mazza e tornò sul campo di battaglia. Durante il tragitto divorò con noncuranza migliaia di Vanara e ricominciò la sua spaventosa carneficina.
Vedendo che nessun altro era in grado di fronteggiarlo, Laksmana decise di intervenire. Dal suo arco saettarono con una velocità inconcepibile innumerevoli frecce infuocate che penetrarono nel corpo dei Raksasa come serpenti che penetrano nelle loro tane. Kumbhakarna sghignazzò con voce cavernosa, schernendo il giovane principe.
“Ho visto il tuo valore,” gli disse, “ma non voglio combattere contro di te, io voglio combattere solo contro Rama in persona.”
Impetuosamente passò oltre Laksmana e in lontananza vide Rama. Simili a moscerini che corrono e periscono in un grande fuoco, migliaia di Raksasa affrontavano il figlio di Dasaratha. Vederlo combattere era uno spettacolo.
Osservando i suoi soldati perire senza potersi neanche difendere, Kumbhakarna corse furiosamente verso di lui, ruggendo come un leone. A quel punto la battaglia divampò ancora di più, feroce e indescrivibilmente violenta. Mentre correva, desideroso di combattere contro Rama, Kumbhakarna fu fermato da Vibhisana.
“Fermati, Kumbhakarna. Combatti contro di me, invece che contro Rama,” gli gridò.
Kumbhakarna si fermò e lo guardò, pieno di affetto fraterno.
“Tu, Vibhisana,” gli disse, “sei sempre stato l’unico della nostra razza che mai ha deviato dal sentiero della giustizia. Mai ti sei lasciato trasportare dai desideri e dall’odio. Per questo tu non devi morire. Colpiscimi, dunque: io non reagirò contro di te. Ciò che sta accadendo in questa guerra è il logico risultato della stupidità di nostro fratello. Cosa posso farci io? Sono legato dai legami della famiglia e dall’affetto e non posso ritirarmi da questo combattimento. Io userò tutta la potenza di cui dispongo per far emergere vittorioso Ravana. Ma so che alla fine saremo sconfitti e che tu rimarrai il reggente del nostro regno, perpetuando la linea del nobile Pulastya.”
Vibhisana fu toccato da quelle sagge parole.
“Tante volte ho dato i miei buoni consigli a nostro fratello,” gli disse, “ma lui non ha mai voluto ascoltarmi seriamente. E’ colpa sua se ora ci troviamo come nemici su questo campo di battaglia. Io non posso colpirti, sei mio fratello.”
Così dicendo, con gli occhi pieni di lacrime, osservando la terribile carneficina che si svolgeva tutt’intorno, si sedette sopra un macigno e appoggiò il mento sul pugno, assorto in chissà quali pensieri.
Con un ultimo sguardo al fratello, Kumbhakarna si scagliò impetuosamente contro Rama. I due si fronteggiarono. Rama gettò contro il nemico migliaia di frecce e Kumbhakarna reagì alla stessa maniera. Il duello fu violentissimo.
Ma nel libro divino dove sono scritte le vite di ognuno, sulle pagine riguardanti il Raksasa stavano scorrendo le ultime parole. Erano gli ultimi istanti della sua vita. Rama mirò una freccia possente al braccio destro, staccandolo di netto. Ma il valoroso Kumbhakarna continuò il combattimento come se nulla fosse successo. Rama gli scagliò contro una freccia simile che gli recise il braccio sinistro. Il braccio cadendo da quell’altezza schiacciò sotto il suo peso molti alberi, Vanara e Raksasa. Ma lui continuò ad avanzare, così, senza braccia, schiacciando i nemici sotto i piedi. Freddamente, Rama gli tagliò anche le due gambe.
Ma neanche in quella condizione, così mutilato, il glorioso Kumbhakarna si arrestava. Si trascinava in avanti con la bocca spalancata e divorò molti Vanara, schiacciandoli fra i denti. Procedette verso Rama.
Vedendo vicina la pericolosa bocca spalancata, il principe la riempì di frecce fiammeggianti. Sentendosi oramai prossimo alla vittoria, Rama pose sull’arco una grossa freccia e recitò con grande devozione il mantra di Indra: con rabbia e con grande forza la scagliò contro il collo del nemico. E la testa del glorioso Kumbhakarna si separò dal corpo e rimbalzò sul campo di battaglia, causando gravi perdite in entrambi gli eserciti. Rimbalzando diverse volte, piombò nel mare e sprofondò. Così il grande Kumbhakarna, che era come una spina nel fianco della gente pacifica, fu sconfitto e ucciso da Rama.
Indrajit
Quando la testa di Kumbhakarna sprofondò nel mare, il cielo si rasserenò e un’atmosfera di pace si diffuse ovunque. Dall’alto si udirono le voci dei Deva e dei saggi che si congratularono con il vincitore e lo ringraziarono per quell’atto virtuoso. I Vanara tirarono un grande sospiro di sollievo. Quel mostro era diventato il loro incubo e ora che era stato ucciso la vittoria finale sembrava più vicina e più probabile.
Vedendo il corpo mutilato e privo di vita di Kumbhakarna, i Raksasa si ritirarono e sospesero la battaglia. La brutta notizia fu portata a palazzo: Ravana non riusciva a crederci. Il suo caro fratello, il grande, invincibile Kumbhakarna ucciso? Non riusciva a capacitarsene.
“Come hanno potuto ucciderlo? Dove hanno trovato la potenza necessaria? Mio fratello non poteva essere sconfitto. Ha incontrato i più grandi Deva dell’universo e ha sempre vinto. Come è potuto succedere?”
Sconvolto dal dolore per la perdita del suo caro fratello, Ravana si lamentò pateticamente. Era il suo guerriero più valoroso. Per incoraggiarlo, i suoi figli decisero di uscire personalmente in combattimento, accompagnati da numerosi battaglioni. Ma ciò che sembrava impossibile continuava ad essere amara realtà. Il destino di chi è nel torto spesso si volge contro ogni logica.
Angada uccise uno dei figli di Ravana, Narantaka, e Hanuman Devantaka, suo fratello. Nila uccise il grande Mahodara e Rishabha Mahaparsva. Decimati e umiliati i Raksasa, guidati dal figlio di Ravana, Atikaya, lanciarono un’ennesima offensiva. La battaglia divampò ancora, furiosamente; i combattimenti corpo a corpo erano spietati. Laksmana affrontò il prode Atikaya e lo uccise.
Senza sosta, le notizie delle sconfitte e delle morti dei suoi cari continuavano ad arrivare alle orecchie di Ravana, che si lamentava per la loro perdita.
Temendo per la sicurezza di Lanka, Ravana in persona organizzò la difesa della città nei suoi punti nevralgici.
Indrajit torna sul campo di battaglia
E Indrajit tornò sul campo di battaglia. Il modo in cui combatteva era mirabile. Poteva muoversi liberamente in cielo e in terra con grande velocità, poteva apparire e scomparire a suo piacimento quando e come voleva, e aveva ricevuto da Brahma armi micidiali.
Avendo appena celebrato un sacrificio che lo rendeva ancora più forte, Indrajit comparve sul terreno dove i combattimenti infuriavano. E cominciò la sua opera di distruzione. Massacrati a centinaia dalle terribili frecce del Raksasa, i Vanara cominciarono a cadere senza vita. Persino i soldati più forti non erano in grado di stare neanche un momento di fronte al figlio di Ravana. Indrajit aveva bisogno di guadagnare tempo: afferrò una freccia, la caricò con un mantra dedicato a Brahma e la scagliò contro i nemici. Si udì un’esplosione: migliaia di Vanara caddero svenuti sul terreno. Persino Rama e Laksmana persero coscienza. Vittorioso e ottimista, Indrajit si ritirò per portare le buone notizie a suo padre.
Hanuman porta le montagne a Lanka
Era una notte fresca. Spirava una leggera brezza e la luna era piena. Non sembrava di essere nel mezzo di una delle più terribili guerre mai combattute. Dopo l’esplosione dell’arma di lndrajit tutto si fece quieto e silenzioso. I Raksasa si erano ritirati, intimoriti dal pensiero di poter essere vittime loro stessi di quell’arma. Calò il silenzio.
La guerra, la violenza: ci sono ragioni, giustificazioni per la loro esistenza? Quella volta si combatteva per una giusta causa, quella volta si combatteva per la pace, per la giustizia, per dare una vita più serena a tanta gente che da troppo tempo subiva le angherie di quei Raksasa. Non c’era tempo per distendersi e godere della brezza. Quella guerra doveva essere vinta.
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