Nella loro disperata ricerca arrivarono nel luogo del combattimento fra Jatayu e Ravana. Lì videro i resti del carro e i corpi dei muli e dell’auriga, mutilati in molte parti. Più in là il morente Jatayu. Avendo intuito che aveva tentato inutilmente di difendere Sita, Rama e Laksmana si chinarono tristemente sul loro caro amico. Rama lo chiamò con voce amorevole.
“Jatayu, amico mio, chi ti ha fatto questo? E’ lo stesso che ha rapito la mia Sita, vero? Dimmi, è ancora viva?”
Jatayu era moribondo. Parlava con un filo di voce.
“E’ stato Ravana…” disse con le ultime forze che gli rimanevano, “il re dei Raksasa… in persona. Voi vi eravate allontanati… e ha rapito Sita… Ho cercato di difenderla, ma sono troppo vecchio.”
Rama gli sorrise teneramente e lo accarezzò.
“Amico mio, non potrò mai ripagare il servizio che mi hai reso. Hai visto dove si dirigeva e se è ancora viva?”
“Sita è viva…” disse Jatayu, “non preoccuparti… non l’ucciderà. Sono andati a sud… a sud…”
Si fermò un attimo per riprendere fiato.
“Sita piangeva… e ti chiamava… ma non disperarti… presto la ritroverai… benedicimi… che in quest’ultimo istante della mia vita io possa ottenere lo scopo ultimo, la perfezione dell’esistenza… Rama.”
Pronunciando il nome santo di Rama, Jatayu spirò. Addolorati per la morte del caro amico, i due fratelli celebrarono il funerale secondo le tradizioni vediche. Poi si incamminarono verso il sud.
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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