La prova di Sita

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Sita non credeva a ciò che ascoltava. Si chiese se mai le sue sofferenze avrebbero avuto fine. Perché doveva subire un destino così crudele?

“Se vuoi puoi chiedere protezione a Laksmana,” continuò Rama, “o a Bharata, o a Vibhisana, o a Sugriva, o a chiunque altro. Ma io senza una prova chiara della tua purezza, non posso riprenderti con me.”

Erano parole dure, quelle. Così dure che solo per poco non spezzarono il cuore di Sita. Si sentì come colpita da un fulmine. Lacrime calde e copiose uscirono da quegli occhi così belli, così tanto simili ai petali del fiore di loto. Ci volle qualche minuto prima che Sita riuscisse a parlare.

“Perché dici queste parole così crudeli?” chiese. “Non basta quello che ho sofferto finora? La mia purezza negli atti e nei pensieri è sempre rimasta intatta. Chi non sa che sono rimasta nella casa di Ravana perché costretta?”

Ma non c’era molto da discutere. Rama la guardava con occhi pieni d’amore ma fermo nei principi che erano il filo conduttore della sua esistenza. E Sita capì che doveva dare la prova della sua purezza. O mai più vedere Rama. Si rivolse a Laksmana.

“Prepara una pira,” gli chiese. “Io sono casta e pura e senza la minima macchia: entrerò in quelle fiamme. Una donna veramente casta non può essere toccata neanche dal fuoco. Se Agni  mi risparmierà vorrà dire che sono sempre rimasta fedele a mio marito e che non ho mai pensato a nessun altro. Se invece morirò, quella sarà la prova della mia infedeltà.”

Rama non disse nulla. Il suo volto era immobile. A malincuore, secondo il desiderio di Sita, Laksmana preparò una pira e vi appiccò il fuoco. Dopo aver offerto rispetti a suo marito e agli dei, Sita vi entrò con decisione. La folla gridò, creando un tumulto che scosse la città.

Mentre Sita era avvolta dalle fiamme, Rama sembrava di pietra; non si muoveva, non diceva niente, guardava il fuoco e pensava. E in quel momento, all’improvviso, si udirono delle voci celestiali: e i Deva con Brahma a capo apparvero davanti a tutti.

“O Rama,” disse Brahma, “perché ti stai comportando come se voi foste comuni mortali? Tu sai che tutti noi siamo tuoi subordinati e che la tua essenza spirituale pervade la creazione intera. Non fare questa ingiustizia a Sita, che è la più casta delle donne.”

Rama sembrava stupito da quelle parole.

“O creatore dell’universo,” chiese Rama con umiltà, “io sono Rama, il figlio di Dasaratha, e per nascita sono un uomo. Ciò che mi stai dicendo mi sorprende. Allora chi sono veramente io? Qual è la mia vera identità?”

“Tu sei l’incarnazione del Signore Supremo Narayana,” rispose Brahma, “il Dio glorioso che tiene in mano il disco Sudarshana. Tu sei l’eterno e invincibile Signore Vishnu, che è eternamente trasportato da Garuda. Tu appari in innumerevoli incarnazioni per proteggere i tuoi devoti e distruggere gli empi. E mediante esempio personale stabilisci gli eterni principi della religione e del comportamento umano.”

Così Brahma svelò pubblicamente la vera identità di Rama. E appena Brahma ebbe terminata la sua preghiera, Agni emerse dalle fiamme con Sita accanto a sé.

“Davanti a tutti testimonio che Sita è pura e incontaminata,” proclamò il Deva del fuoco.

Rama prese gioiosamente Sita per la mano e le sorrise. Sita pianse per la felicità.

I Deva si complimentano 

Fra i Deva c’era anche Shiva. Facendosi avanti, si rivolse al glorioso re.

“O Rama, grazie a te il crudele Ravana è stato ucciso e questo ha restituito la serenità a tutti i popoli. Qui, fra di noi, c’è tuo padre, Dasaratha, che stava solo aspettando il completamento del periodo promesso a Kaikeyi per accedere ai pianeti celesti. Il tempo oggi è terminato. Dasaratha tornerà con noi nei pianeti delle gioie che ha ben meritato.”

A quelle parole Rama guardò meglio tra i numerosi esseri celesti che erano di fronte a lui e scorse Dasaratha. Rama e suo fratello gli offrirono rispettosi omaggi.

“Mio caro figlio,” gli disse Dasaratha, “grazie alla tua rettitudine ora io posso raggiungere i pianeti dove la vita è lunga e gioiosa. Chi ha un figlio come te è davvero fortunato.”

Indra sorrideva a Rama.

“O Indra,” gli chiese Rama. “Se uccidendo Ravana ti ho soddisfatto, per favore, restituisci la vita ai Vanara caduti sul campo di battaglia.”

Il re dei Deva acconsentì. In quel giorno di gioia suprema tutti festeggiarono e furono immensamente felici.

Rama si prepara a tornare ad Ayodhya

Rama aveva promesso al padre di restare in esilio per quattordici anni. Il tempo era quasi scaduto, e Rama si preparò a tornare ad Ayodhya. 

Salì sul carro Puspaka, che era stato di Ravana e prima ancora di Kuvera. Prima della partenza, Vibhisana onorò i Vanara con ricchi doni. Poi partirono. Rama invitò a salire sul carro Sugriva, lo stesso Vibhisana che aveva manifestato il desiderio di accompagnarlo e altri Vanara. Poi la partenza, verso la tanto agognata Ayodhya.

Mentre il carro sorvolava i luoghi che avevano visto lo svolgersi dei diversi avvenimenti, Rama raccontava tutto a Sita: gli additò il campo di battaglia, il luogo dove Hanuman era atterrato, l’oceano attraversato con un balzo da Hanuman e via dicendo. Dopo qualche ora sorvolarono l’eremo di Bharadvaja, e Rama volle andare a salutare il grande saggio.

Felice di rivederli dopo il successo della loro missione, il saggio benedisse Rama e tutti gli altri, che risalirono sul carro e ripartirono.

Quando Ayodhya fu vicina, Rama chiese ad Hanuman di andare avanti per avvertire Bharata del loro arrivo. Il glorioso Vanara entrò nella città e incontrò Bharata.

“O principe, ti porto una buona notizia. Tuo fratello Rama, sua moglie Sita e il virtuoso Laksmana stanno arrivando. Non sono molto lontani da qui e domani l’incontrerai.”

Bharata non credeva alla meravigliosa notizia. Fuori di sé dalla gioia, riempì Hanuman di ricchezze e chiese notizie di Rama. Hanuman si sedette e raccontò tutta la storia, della quale Bharata era completamente all’oscuro.

Lo stesso giorno la città venne pulita, profumata e preparata per il ritorno di Rama, e dopo aver dato le necessarie disposizioni Bharata volle partire per andare ad incontrare Rama nell’accampamento. E quando i due fratelli si rividero, gioirono e si abbracciarono con trasporto.

Il giorno dopo Rama, che desiderava tornare nello stesso carro in compagnia di Bharata, chiese al carro celestiale Puspaka di tornare da Kuvera. Dopo poche ore, nel momento esatto in cui terminarono i quattordici anni di esilio, Rama rientrò nella sua capitale.

 

Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.

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