Agastya Muni
Passarono gli anni. Rama governava con giustizia e virtù, e tutti erano felici del suo governo. I tempi bui dell’esilio e del conflitto con i Raksasa sembravano non essere mai accaduti. Sita e Rama vissero insieme felicemente.
Un giorno alcuni famosi saggi, tra i quali Agastya, andarono a trovare Rama per congratularsi con lui dell’importante vittoria ottenuta contro Ravana. Appena seppe del loro arrivo in città, Rama andò loro personalmente incontro e li ricevette con grandi onori. Dopo aver celebrato il puja, Rama si sedette per ascoltarli.
“La tua vittoria è stata una grande fortuna per tutti,” disse Agastya. “Hai ucciso il mostro Ravana che era come una spina nel fianco del mondo. E grazie a te, oltre a Ravana, altri esseri malvagi sono morti: l’invincibile Kumbhakarna, Mahodara, Prahasta e molti altri.”
Agastya guardò gli altri saggi e sorrise.
“Ma tutto ciò per noi non è stato sorprendente quanto il fatto che tu sia riuscito ad uccidere Indrajit, il figlio di Ravana. Lui era quello che ci preoccupava più di tutti: per lui avevamo dei dubbi circa la vittoria finale.”
Rama era curioso di sapere come mai i saggi dessero tanta importanza a Indrajit. Chiese loro le ragioni.
“A Lanka c’erano grandi e potentissimi Raksasa che possedevano poteri sovrannaturali,” domandò. “Ma mi è sembrato di capire che a vostro avviso Indrajit avesse un’importanza e un potere particolare. Potete dirmi perché? E i Raksasa, potete raccontarmi come questa stirpe di esseri sia venuta ad esistere?”
“Sì,” Agastya Muni replicò, “ti racconterò la storia di Ravana e della discendenza dei Raksasa.”
“Nell’età dell’oro viveva un grande santo di nome Pulastya, che era figlio di Brahma. Pulastya era un saggio esemplare e risiedeva in un incantevole eremo sulle pendici del monte Meru. In quel luogo pacifico e silenzioso vivevano molti altri eremiti, fra cui il re Trinavindu, che aveva rinunciato al trono ed era diventato un asceta.
“In quel luogo santo, dove la recitazione dei versi sacri dei Veda era il suono principale, le figlie degli eremiti giocavano fra di loro, suonavano strumenti musicali, cantavano e danzavano. La ragazze facevano tutto ciò con innocenza, non certo con l’obiettivo di importunare nessuno, ma di fatto il saggio Pulastya era disturbato dal rumore di quei giochi frivoli. Le meditazioni e le austerità erano rese talvolta difficili. Quando un giorno il frastuono si fece assordante, il saggio perse la pazienza e disse a voce alta, in modo che le ragazze potessero sentirlo:
“La prossima di voi sulla quale si poseranno i miei occhi resterà incinta.”
“Le ragazze fuggirono spaventate, promettendo che mai più sarebbero tornate nei paraggi. Poco dopo, ignara dell’accaduto, passò di là la figlia di Trinavindu alla ricerca delle sue amiche. Non le trovò, ma mentre le cercava sentì il saggio Pulastya che recitava i versi dei Veda. Quelle vibrazioni erano così attraenti che la ragazza si avvicinò all’eremo e incantata rimase ad ascoltare. Finché il saggio la vide. Per effetto della maledizione, chiari segni della gravidanza si manifestarono sul suo corpo. La ragazza non capiva cosa le stesse succedendo e, impaurita, corse dal padre. Trinavindu vide che la figlia era incinta e, rassicurato sul fatto che non avesse avuto rapporti sessuali con nessun uomo, si chiese cosa potesse essere successo. Nella meditazione comprese tutto. Presa per mano sua figlia, andò dal venerabile Rishi Pulastya.
“Mia figlia genererà presto un figlio che è tuo. Accettala come sposa. Lei ti aiuterà nella tua vita.”
“Pulastya accettò, contento di aver ottenuto una buona moglie.
“Giacché questo figlio è nato a causa dell’attrazione della madre per l’ascolto dei sacri Veda,” dichiarò il saggio, “il suo nome sarà Visrava.”
“Il bambino nacque. Man mano che cresceva si potevano notare in lui le stesse grandi qualità del padre. Quando Visrava arrivò all’adolescenza, il saggio Bharadvaja gli offrì sua figlia in moglie e Visrava accettò. Quella ragazza si chiamava Devavarnini .
“Visrava ebbe un figlio al quale impose il nome di Vaishravana. Egli sarebbe diventato Kuvera, il Deva delle ricchezze, il quarto guardiano dell’universo.”
“Dopo aver compiuto grandi austerità e dopo aver soddisfatto Brahma, Vaishravana fu benedetto. Divenne il Deva delle ricchezze e Brahma gli conferì, insieme a Yama, Indra e Varuna, la responsabilità di proteggere una parte del creato. Brahma gli donò anche un carro celestiale straordinariamente bello che si chiamava Puspaka. Dopo aver ottenuto ciò che desiderava, Vaishravana andò a trovare il padre.
“Brahma mi ha dato ciò che volevo,” lo informò, “ma non mi ha assegnato un posto dove vivere. Dimmi tu quindi ldove posso andare ad abitare.”
“C’è una città meravigliosa,” rispose Visrava dopo aver riflettuto, “che fu costruita da Visvakarma e dove i Raksasa avevano vissuto. Ma molto tempo fa, per paura di Vishnu, la abbandonarono per fuggire a Rasatala. La città si chiama Lanka, ed è la giusta dimora per te. Vai quindi a prenderne possesso.”
“Kuvera andò a Lanka, ne prese possesso e regnò con grande rettitudine.”
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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