Sita pensò un momento: che messaggio poteva mandargli?
“Raccontagli questa storia,” disse poi. “Nessun altro oltre a me e a lui la conosce. Quel giorno eravamo soli, io e lui. Digli così:
“Una volta, quando eravamo ancora a Citrakuta, mentre stavi facendo le tue abluzioni, un corvo affamato mi attaccò. Io cercai di scacciarlo, ma non ci riuscii. Mi sentii irritata e spaventata, anche perché ero sola. Allora mi arrabbiai, e per i movimenti bruschi la gonna stava per cadermi. E con una mano cercavo di tenerla e con l’altra mi difendevo dagli artigli dell’animale. In quel momento tu tornasti e mi vedesti in quella situazione e pensasti che ero buffa; ridesti di cuore. Io mi lanciai tra le tue braccia, cercando protezione. Allora il corvo volò via. Ci sdraiammo sotto un albero e ci addormentammo, abbracciati l’uno all’altra.
“All’improvviso quel corvo malvagio tornò e mi attaccò ancora, graffiandomi sul petto più di una volta e profondamente. Le mie grida di dolore e di paura ti svegliarono e vedesti che sanguinavo al petto. Allora non ridesti più, ma eri molto in collera.
“Chi è stato?” mi chiedesti con voce concitata. “Chi ti ha fatto quelle ferite?”
“E vedesti il corvo che stava per attaccarmi ancora. I tuoi occhi divennero rossi come il fuoco per la rabbia. Decidesti di ucciderlo. Dopo aver colto un filo d’erba kusha, recitasti un mantra per caricarlo con la potenza del brahmastra e lo lanciasti contro il corvo. Ma subito capimmo che non era un semplice animale: era Jayanta, il figlio di Indra.
Lui si accorse di essere in pericolo mortale, e quando vide il filo d’erba saettare verso di lui, tentò la fuga. E fuggì dappertutto, con l’arma che lo seguiva da presso, cercando qualcuno che potesse aiutarlo. Ma nessuno poteva fare niente contro quell’arma, lanciata dal tuo braccio possente.
“Jayanta fuggì per tutto l’universo, ma nessuno, nemmeno suo padre Indra, poté aiutarlo. Si sentì perduto. Così tornò da te e chiese perdono, e ti pregò di salvargli la vita.
“O Jayanta,” gli rispondesti, “quest’arma una volta lanciata non può più essere ritirata, ma deve colpire e distruggere qualcosa. Però mi hai chiesto protezione, e io ti aiuterò. Scegli una parte del tuo corpo a cui puoi rinunciare e il brahmastra distruggerà solo quella.”
“Jayanta rifletté a cosa fosse conveniente; poi decise di rinunciare all’occhio destro. Appena ebbe pronunciato quelle parole, l’arma fatale colpì.”
Sita fece una pausa.
“Dì anche questo a Rama,” disse poi riprendendo il discorso.
“Tu hai lanciato un’arma così terribile contro un semplice corvo che mi aveva graffiato il seno: perché allora non usi la stessa contro questi crudeli Raksasa che mi stanno facendo soffrire molto di più? Perché non intervieni? Amato signore, ti prego, vieni subito a prendermi.”
Sita pose nelle mani di Hanuman un gioiello che gli aveva regalato Rama e glielo affidò.
“Quando Rama vedrà questo gioiello sarà sicuro che mi hai ritrovata. Che tu possa essere benedetto, amico caro; ma parti, qui sei in pericolo, potresti essere scoperto. Parti e torna presto con Rama.”
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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