Agastya raccontò un’altra storia.
“Molto tempo fa, durante Satya-yuga, viveva un re chiamato Manu, che aveva un figlio di nome Ikshvaku. Quando Manu si ritirò nella foresta, Ikshvaku, con i suoi cento figli, governò il regno. I suoi figli erano tutti buoni e virtuosi, tranne il più giovane che si chiamava Danda, una persona dal carattere empio e crudele. Il giovane fondò un regno e la sua capitale fu la stupenda Madhumantra. Il grande Shukra era il suo maestro e la sua guida spirituale.
“Un giorno Danda andò a trovare il guru nel suo eremo e lì vi trovò, sola, la sua stupenda figlia. Danda fu colpito da tanta bellezza e, nonostante le sue resistenze, la prese con la forza. Poi tornò in città. Venuto a conoscenza del vile atto, Shukra pronunciò una terribile maledizione:
“Un giorno Indra devasterà il regno di Danda e nessuno degli abitanti si salverà.”
“La maledizione si avverò e quel regno, una volta così florido, si trasformò in una terribile foresta piena di Raksasa. Fu poi chiamata Dandakaranya, la foresta di Dandaka.”
L’arrivo di Valmiki e dei figli di Sita ad Ayodhya
La notte, in quella foresta idilliaca, trascorse piacevolmente. La mattina seguente Rama tornò ad Ayodhya.
Qualche tempo dopo il re pensò di celebrare il sacrificio Rajasuya, ma i brahmana di corte gli consigliarono invece l’Asvamedha. Dopo aver ascoltato differenti storie sulle glorie di quel sacrificio, Rama decise di seguire il loro consiglio. I preparativi vennero celermente avviati.
E fu durante quel sacrificio che Valmiki Muni arrivò con tutti i suoi discepoli. Durante la cerimonia chiamò i suoi cari studenti Kusha e Lava.
“Se Rama vi chiama,” disse loro a voce bassa, “recitategli tutto il Ramayana, cominciando dal Bala Kanda. Ma all’inizio non ditegli che siete suoi figli: ditegli solo che siete miei discepoli.”
Kusha e Lava recitano il Ramayana a loro padre
A questo punto ci ritroviamo all’inizio della nostra narrazione, quando Rama chiese ai due giovani eremiti di narrargli la sua storia.
Per giorni e giorni Rama ascoltò quella storia meravigliosa, finché venne a sapere che i due cantori erano i suoi figli nati da Sita dopo l’esilio. Con le lacrime agli occhi, Rama li abbracciò amorevolmente e poi si rivolse a Valmiki.
“O grande e misericordioso saggio,” pregò, “se Sita è veramente rimasta casta e pura come dice il tuo poema, conducila qui e fa in modo che dia un’altra prova pubblica.”
Valmiki acconsentì e mandò a prendere Sita. Venne la sera.
“Domani rivedrò Sita,” pensava Rama.
Non riusciva a pensare ad altro. Non chiuse occhio per tutta la notte.
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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