“Una volta mio fratello Vali, a causa di una donna, si inimicò un demone di nome Mayavi. Voi sapete chi era Mayavi: suo padre era il grande architetto degli Asura, Maya Danava. Mayavi decise di vendicarsi dell’affronto e di sfidare Vali in duello per ucciderlo. Un giorno venne alle porte della città e ruggì con ferocia, gridando furiose ingiurie nei confronti di mio fratello. Vali, che non ha mai saputo tollerare le offese e ha sempre avuto un temperamento irascibile, si precipitò fuori, per nulla intimorito dalla forza dell’avversario. Io lo seguii per aiutarlo. Quando Mayavi vide che eravamo in due preferì fuggire.
Noi lo inseguimmo e, sebbene corresse molto velocemente, non perdemmo le sue tracce, finché entrò in una caverna buia e profonda. Noi ci fermammo, timorosi di entrarvi. Ma l’Asura doveva essere ucciso, altrimenti sarebbe stato sempre una spina nel nostro fianco. Coraggiosamente Vali mi disse di restare a guardia dell’entrata della caverna: lui da solo sarebbe andato a scovare e ad uccidere il demone.
Io temevo per la sua vita, ma Vali non sentì ragioni. Se gli succedeva qualcosa il regno di Kiskindha doveva avere un altro re. E si inoltrò nella tenebrosa caverna.
“Passò molto tempo e Vali non tornava. Un anno intero trascorse nell’angoscia quando, proveniente dalle viscere della caverna, udii delle grida furiose e dei ruggiti simili a quelli di un gigantesco leone. E vidi un ruscello di sangue scorrere dall’entrata della caverna. Preso dal panico pensai che Vali fosse stato ucciso e che avrei dovuto pensare alla sicurezza del regno. Così presi un enorme macigno e chiusi l’entrata della caverna. Tornato a Kiskindha piansi mio fratello per morto e celebrai il suo funerale. Così divenni il re.
“Ma Vali non era morto: in realtà aveva vinto il duello e quel sangue era di Mayavi. Dopo averlo ucciso Vali tornò verso l’uscita della caverna e la trovò ostruita. Con grande sforzo riuscì a spostare il macigno e corse a Kiskindha. Nella sua mente si era fatto strada il sospetto: che l’avessi tradito? Che avessi cercato di non farlo più uscire per godermi il suo regno? E mi trovò sul trono. A quel punto la sua rabbia esplose e mi accusò apertamente di tradimento. Mi cacciò dal regno e mi minacciò, dicendomi che se mi avesse visto ancora mi avrebbe ucciso. Così io mi sono rifugiato qui dove Vali non può venire.
“Io non posso fare niente contro di lui, Vali è troppo forte. Nessuno di noi può sfidarlo. Ecco perché ci nascondiamo qui, in questo posto a lui proibito.”
“Perché dici che Vali non può venire qua?” chiese Rama. “Cosa c’è di speciale per lui in questo luogo?”
“Prima della battaglia con Mayavi,” rispose Sugriva, “Vali aveva combattuto e ucciso il fratello del demone, Dundubhi. Questo Asura aveva assunto la forma di un bufalo gigantesco e, inorgoglito dalla sua straordinaria forza fisica, vagava per il mondo in cerca di un avversario degno da affrontare. Quando andò sulla montagna Himalaya per sfidare Himavat, la divinità che lì predominava, si sentì dire:
“O grande Asura, non riesci a trovare un avversario perché sei troppo forte. Neanche io desidero combattere contro di te perché per natura sono pacifico e do rifugio ai saggi e a coloro che sono della mia stessa natura. Però posso darti un consiglio: in questo mondo c’è un degno avversario per te ed è Vali, il figlio di Indra. Sii certo che lui placherà il tuo desiderio di combattimento.”
“Allora Dundubhi corse a Kiskindha e sfidò l’invincibile Vali che lo uccise, e in preda alla furia lo gettò a molte miglia di distanza. Mentre la carcassa del demone-bufalo volava nell’aria, alcune gocce di sangue caddero nell’eremo del saggio Matanga. Poi la carcassa cadde nelle vicinanze. Disturbato dal rumore, il saggio uscì e vide il corpo.
“Chi ha gettato questo cadavere vicino al mio ashrama?” si chiese Matanga. “Chi l’ha contaminato irrimediabilmente in questo modo?”
“In meditazione vide ciò che era successo e seppe che era stata colpa di Vali. Arrabbiato, maledisse Vali.
“Se quella scimmia metterà mai piede in questo posto, morirà istantaneamente.”
“Matanga cambiò eremo. Per questo motivo Vali non osa venire qua. Conosce bene la potenza spirituale di Matanga. Così in questo posto io sono al sicuro.”
Sugriva continuò il suo discorso.
“Ora ti porterò a vedere ciò che rimane della carcassa di Dundubhi, cosicché tu possa renderti conto di quanto Vali sia forte.”
Il gruppo s’incamminò, e in pochi minuti arrivarono nelle vicinanze di ciò che prima era l’eremo di Matanga. Non lontana l’enorme carcassa del demone. Rama si avvicinò. Aveva bisogno dell’aiuto di Sugriva per ritrovare Sita, e per questo doveva aiutarlo contro Vali. Era necessario però convincerlo che era in grado di uccidere il potentissimo Vanara. Senza alcuno sforzo, toccò quella montagna di ossa con l’alluce di un piede. E come per magia quella si staccò dal suolo e volò in aria per molte miglia. Sugriva sorrise, compiaciuto. Ma non era convinto.
“Caro amico,” gli disse con un grande sorriso, “questa che mi hai dato è una prova della tua grande forza, però quando Vali ha gettato in aria il corpo era pesante di carni e interiora. Non offenderti, quindi, se ti chiedo un altro saggio del tuo valore.”
Con calma solenne, il principe Rama estrasse una freccia dalla faretra e mirò in direzione di sette enormi alberi sal. La freccia parti, trafisse gli alberi, entrò nella terra e raggiunse i pianeti Patala. Dopo un’ora la freccia tornò nella faretra. Sugriva era stupefatto e allo stesso tempo pieno di un’irrefrenabile gioia. Ora si sentiva sicuro che Rama poteva sconfiggere Vali.
“Rama,” chiese Sugriva con gli occhi che brillavano di gioia, “ti chiedo, per favore, uccidi Vali e restituiscimi la serenità che ho perso. In cambio prometto che ti aiuterò a ritrovare Sita.”
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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