Dopo aver ucciso Viradha, Rama volle andare a visitare l’eremo del saggio Sarabhanga. Quando arrivò nelle vicinanze vide Indra che parlava con il saggio.
Indra lo vide arrivare e si nascose, pensando di non essere stato visto. Rama e i suoi compagni offrirono umili rispetti a Sarabhanga e parlarono a lungo; poi Rama, curioso di sapere cosa facesse lì il re degli esseri celesti e fingendo di non averlo riconosciuto, chiese:
“Grande saggio, chi era quel nobile personaggio che ho visto mentre arrivavo?”
“Era Indra, il re dei pianeti celesti,” rispose, “venuto per convincermi a lasciare questo mondo e andare a Brahma-loka. Da molto tempo, grazie alle mie austerità, ho guadagnato l’accesso a quei pianeti celestiali, però sapevo che tu saresti arrivato qua e ho sempre rifiutato di lasciare questo mondo senza averti visto. Volevo prima parlare con te. Ora il mio desiderio è soddisfatto. Posso andare tranquillamente sul pianeta di Brahma.”
Così detto il saggio preparò una catasta di legna e vi appiccò fuoco. Dopodiché entrò nelle fiamme. La scintilla spirituale che abbandonò il corpo fu visibile ad occhio nudo e Rama gli offrì rispettosi omaggi. Sarabhanga aveva raggiunto la perfezione delle sue austerità.
Durante il loro peregrinare Rama, sempre accompagnato da Sita e Laksmana, incontrò altri eremiti. Anche loro gli chiesero protezione contro i Raksasa che infestavano Dandaka. A tutti Rama diede la stessa risposta:
“Non preoccupatevi più. Io distruggerò quegli esseri malefici. Il mondo deve essere liberato da tutti coloro che commettono atti empi.”
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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