D: Torniamo al punto originale. E’ stato detto che i Veda sono libri teisti, affermano e testimoniano cioè l’esistenza di Dio. Ma troppo spesso le scritture religiose hanno come unica fonte di prova i loro stessi dogmi, e sono prive di sostegni logici. E’ il caso dei libri di cui abbiamo appena iniziato lo studio?
R: Originalmente la parola “dogma” non aveva il significato che le attribuiamo noi ora. Dogma (o domma) significava opinione, ipotesi. Nel corso della storia la religione cattolica ha imposto in modo così violento le sue teorie che la gente, non comprendendole, cominciava a accomunarle a un senso di fede cieca. E cioè, che il dogma fosse una ipotesi non dimostrata e spesso non dimostrabile.
Ci rendiamo conto che è sempre molto difficile provare l’esistenza di qualcosa che non può essere percepito direttamente dai sensi. Siamo tutti dei San Tommaso e ci viene spontaneo accettare solo ciò che tocchiamo con mano. Normalmente riteniamo vera una cosa solo quando questa può essere vista o ascoltata o toccata, quando l’oggetto è pertanto sensibile (che vuol dire passibile di percezione da parte dei sensi).
Nelle cose dello spirito, forse per un atavico senso di delusione nei confronti del contesto religioso in cui siamo nati e cresciuti, tendiamo ad accettare i principi della filosofia solo se riusciamo a capirli con la ragione. Coloro che invece dicono di credere senza aver bisogno di capire, generalmente sono persone troppo pigre o limitate per usare l’intelligenza.
Secondo alcuni filosofi esistono due tipi di mondi: il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Il primo è quello che possiamo vedere e toccare, quello che cade immediatamente e senza difficoltà sotto l’azione dei sensi. Quello che vediamo e in cui esistiamo è il mondo sensibile. Il secondo invece è quello apparentemente contrapposto, cioè un mondo che non può essere percepito dai sensi grossolani (che sono la vista, l’udito, eccetera) ma solo dall’intelligenza. Quest’ultimo è formato da idee e concetti, e di conseguenza può essere percepito solo mediante un esercizio della ragione. Secondo alcuni, questi due costituiscono dei contrapposti. Coloro che affermano che esiste solo ciò che può essere percepito dai sensi, sono generalmente gli scienziati materialisti (anche se ultimamente molti si stanno ricredendo e ritornando sulle loro convinzioni), i quali accusano i filosofi di costruire con la propria immaginazione un qualcosa di illusorio, di infondato, che ha realtà solo nelle loro fervide immaginazioni, ma non ha esistenza oggettiva.
Però chi può negare che esistano le emozioni, i sentimenti, le idee, i desideri? E non è vero che questi possono essere captati solo dagli effetti? In altre parole, l’amore non può essere visto, ma quando qualcuno ama, capisce che c’è dell’amore. Dunque chi può negare l’esistenza del mondo intelligibile?
Coloro che negano l’esistenza oggettiva della spiritualità e di conseguenza quella di Dio, affermano che finché Egli non potrà essere percepito dai sensi, la Sua esistenza rimarrà una chimera. E giacché nessuno è mai stato in grado di dimostrare che la trascendenza esiste e che può in qualche modo essere sperimentata, e che è possibile solo credere in Dio, ciò non ha nulla a che fare con la scienza. E quando qualcuno dice di aver visto Dio o comunque qualcosa di spirituale, essi tentano di affermare l’inattendibilità della persona o della sua tesi.
Non possiamo negare che in questo campo è sempre esistita una grande cialtroneria, però è anche vero che ci sono cialtroni sia tra coloro che affermano l’esistenza di Dio che tra quelli che la negano. In realtà nessuno può produrre prove per affermare o negare: qualsiasi idea può essere confutata da un intelletto più fervido.
I sostenitori del metodo intellettivo accusano invece gli scienziati materialisti di voler restringere eccessivamente il campo delle ricerche e i suoi possibili sviluppi, in quanto la gamma degli oggetti e dei concetti sensibili è molto ristretta, perché tali sono i nostri sensi. Dove non arrivano i sensi, dicono, può arrivare la ragione, e in tal modo il campo si allarga a dismisura.
Fra i fautori del metodo intellettualistico ci sono sia coloro che si dichiarano convinti dell’esistenza di Dio, che anche i fautori della tesi opposta. In sé tale sistema non è in grado di dimostrare alcunché in favore o a sfavore né dell’una né dell’altra parte. Le nostre opinioni sono soggettive, così come lo sono le nostre esperienze interiori. Una persona può dire di aver visto Dio, mentre un’altra può dire di non averlo visto affatto, anzi di essere giunta alla conclusione che non può esserci nessuna realtà trascendentale. Dunque il metodo intellettivo preso di per sé è sicuramente più vasto, ma anche soggetto a gravi errori.
Dobbiamo ammettere che è praticamente impossibile giungere a un metodo di realizzazione delle più alte verità che sia certo, scientifico, inoppugnabile.
E i Veda che dicono a questo proposito? come possiamo fare per convincerci dell’esistenza di Dio? Rimarrà per sempre solo un atto di fede, una convinzione, appunto, magari sorretta da qualche meccanismo raziocinante, oppure è possibile ottenere una qualche esperienza diretta e completa?
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, i Veda affermano che l’essere vivente è di natura puramente ed esclusivamente spirituale, dimensione questa talmente sottile che i nostri sensi materiali non possono percepire. Ma noi che viviamo in questo mondo qual altro strumento potremmo usare? Siamo costretti ad usare i mezzi che abbiamo a disposizione, e cioè proprio quei sensi e quella ragione condizionati dalla materia e pertanto imperfetti.
Va da sé che l’anima che non è influenzata da Maya non ha alcun problema a stabilire l’esistenza di Dio, in quanto è libera di vederlo in qualsiasi momento grazie ai propri sensi spirituali. Quindi per lei il problema non sussiste. Esiste per noi, che siamo privi della prova inoppugnabile dell’immediata esperienza sensoriale.
Abbiamo detto che il nostro corpo materiale è suddiviso in due parti: lo strato di materia sottile e lo strato di materia grossolana.
I nostri sensi grossolani, come la vista o l’udito sono fatti in modo tale da poter percepire solo una certa gamma di oggetti. Per esempio, la nostra vista non può vedere troppo lontano, non riesce a cogliere esperienze che pure esistono – prendiamo l’aria, che esiste ma che non vediamo con gli occhi. Lo stesso discorso vale per l’udito, il quale non riesce a concretizzare che una certa banda di suoni, sotto o sopra della quale il senso fallisce. E’ per questo che i Veda ci dicono che i nostri sensi, in quanto non assoluti, sono imperfetti.
Vittime di queste limitazioni, noi percepiamo la natura spirituale con i sensi che abbiamo a disposizione in questo momento della nostra esistenza, i quali sono fatti per il mondo della materia e non per quello dello spirito. Per avere esperienza sensoriale del mondo di Dio dobbiamo trasformare la qualità dei sensi e renderli qualitativamente simili al mondo con il quale vogliamo entrare in contatto: in altre parole dobbiamo spiritualizzarli.
Lo stesso deve dirsi per i sensi guida, quelli sottili: la mente e l’intelligenza: anch’essi subiscono pesanti limitazioni e il mondo trascendentale è loro precluso.
Ma tra i grossolani e i sottili una differenza c’è: l’intelligenza è il senso più prossimo all’anima, e per questa ragione ha la capacità di poter capire più di quanto si possa vedere o udire. Dunque, mentre i sensi grossolani debbono purificarsi totalmente prima di poter percepire la natura spirituale, l’intelligenza può andare più avanti e cominciare ad addentrarsi nei primi spazi della filosofia.
E cos’è la filosofia? Una buona definizione potrebbe essere la teoria della scienza della realizzazione spirituale.
Ora, siccome ogni giorno constatiamo che tutto in questo mondo accade grazie alla presenza e all’intervento dell’uomo, siamo naturalmente portati a concludere che dietro a ogni fenomeno debba esserci un Dio personale. Questa tendenza non mi sembra affatto semplicistica, in quanto rispecchia una realtà inoppugnabile che osserviamo da sempre, e proprio con i sensi ai quali si da tanta importanza. Anche la ragione avvalora continuamente questa ipotesi: nulla nasce per caso, tutto segue una logica, una legge. E dove mai prima d’ora si è vista una legge senza un legislatore? Dunque l’esistenza di Dio può essere avvalorata da una certa logica non priva di concretezza.
D: Allora l’essenza divina che noi chiamiamo Dio è conoscibile.
R: E’ sicuramente conoscibile, ma questa risposta va inserita nel quadro di una spiegazione più complessa che affronteremo in seguito.
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