Ravana era seduto sul maestoso trono d’oro massiccio tempestato di varie pietre preziose e la sala delle riunioni era di un’opulenza celestiale. Hanuman fu colpito dalla sua grandezza e dal suo splendore, e pensò che se non fosse stato per la sua mentalità così grossolana, così egoistica, Ravana avrebbe potuto regnare su tutti i pianeti dell’universo. Ma questo materialismo così grossolano, rifletté Hanuman, sarebbe stato sicuramente la causa della sua fine. Ravana, rivolgendosi verso il suo primo generale Prahasta, gli ordinò di interrogarlo. E Prahasta, ancora sconvolto per la morte dei suoi figli, tentò di avere informazioni.
“Perché hai fatto tutto questo?” gli chiese. “Perché hai distrutto la foresta Ashoka? E perché hai ucciso così tanti dei nostri soldati? Chi ti manda? La tua vita è ora appesa ad un filo molto sottile: non spezzarlo per orgoglio.”
Hanuman non aveva alcun timore, la sua voce uscì forte e fiera.
“Io sono Hanuman della razza dei Vanara. Sono un messaggero di Rama e sono venuto qua per ritrovare sua moglie. Ho distrutto i giardini perché volevo combattere contro di voi e poi lasciarmi catturare per vedere Ravana. Non illudetevi: Indrajit non avrebbe mai potuto catturarmi in questo modo, ma ho subìto il potere delle sue armi per essere condotto qui, per parlare con Ravana.”
Senza degnare Prahasta di un altro sguardo, si girò a guardare Ravana. I suoi occhi erano duri e accusatori.
“Re dei Raksasa, se ti preme la vita restituisci Sita al suo legittimo marito. Forse così potresti ottenere il suo perdono. Ma se non farai come ti ho detto, è certa la tua fine e la distruzione della tua città e dell’intera tua razza. Non puoi combattere contro di noi, la nostra forza è incommensurabile. Hai visto cosa ho saputo fare ai tuoi soldati? E io non sono altro che uno dei tanti che presto verranno qua, determinati a sterminare ogni Raksasa che incontreranno.”
Colpito nel vivo da quelle parole insolenti, l’irruente Ravana perse la calma e ordinò che il Vanara fosse messo a morte. Ma in quel momento Vibhisana, suo fratello minore, lo fermò.
“Ravana, mi meraviglio di te,” gli gridò, fermando le guardie che avevano già afferrato Hanuman per le braccia. “Hai dimenticato le regole della vita di un re e di un guerriero? Un ambasciatore non può mai essere ucciso, per quanto offensivo sia il messaggio che porta. Hanuman è un messaggero e non deve essere ucciso.”
Ravana digrignava i denti: non si era ancora calmato.
“Caro fratello, sei sempre pronto a ricordarmi le regole che governano la nostra vita,” gli disse con tono sarcastico. “Sono d’accordo con te. Ma un messaggero che abusa della sua missione e dell’immunità che il ruolo gli conferisce può e anzi deve essere punito in maniera esemplare. Se un re non punisce un criminale nessuno avrà più il timore di lui e nessuno gli obbedirà più. E il regno andrebbe in sfacelo. Io devo quindi punire questa scimmia insolente.
“Appiccate fuoco alla sua coda e portatelo in giro per la città. Mostratelo a tutti. Che nessuno pensi che Ravana non impartisca con severità la giustizia.”
Hanuman devasta Lanka
Le guardie trascinarono Hanuman fuori della sala del trono. Avvolsero la sua coda con degli stracci e li inzupparono di olio. Poi le appiccarono fuoco. Così la guardie portarono Hanuman in giro per le strade di Lanka, esponendolo al ridicolo del popolo. La gente si divertiva molto a vedere quella scimmia con la coda che bruciava e tutti lo schernivano. Anche Sita venne a sapere dell’accaduto e pregò sinceramente il Deva del fuoco di non bruciarlo, di non fargli provare dolore.
Ma l’intelligente Hanuman aveva il suo piano. Riducendo improvvisamente le dimensioni del suo corpo, si liberò delle corde e uccise le guardie che lo scortavano. La gente affollata, quando lo videro libero, scapparono tutti via gridando allarmata. Con la coda infuocata, Hanuman decise di bruciare Lanka. Correndo a tutta velocità, appiccò fuoco a tutte le case, risparmiando solo quella di Vibhisana. Il cielo era rischiarato da quell’enorme falò. E quando i Deva e i Rishi del cielo videro Lanka bruciare danzarono e cantarono dalla gioia. Hanuman era quasi ebbro di gioia, ma subito un pensiero lo folgorò.
“E Sita? Mio Dio, come ho fatto a non pensare a lei? Anche Sita potrebbe essere morta nell’incendio.”
E maledicendo la sua impulsività corse verso ciò che rimaneva dei giardini Ashoka. Ma prima che vi arrivasse sentì delle voci dal cielo che lo assicuravano che Sita era viva, che stava bene, e che era assorta nella speranza del ritorno di Rama. Hanuman si rinfrancò e fuggì dalla città in fiamme. Corse sulla spiaggia e ancora una volta spiccò il prodigioso salto.
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