L’ispirazione iniziale.
Nel giorno in cui si commemorava l’anniversario della vittoria di Rama su Ravana (rama-vijaya), fui invitato a dare delle lezioni riguardanti il Ramayana. A mia insaputa quelle lezioni furono registrate e battute a macchina. Immaginate il piacere quando, con un sorriso, mi fu presentato il simpatico plico, pur modestamente rilegato. In quel giorno sentii risvegliarsi un vecchio desiderio.
Avevo sempre sognato di raccontare il Ramayana in un libro semplice, alla portata della comprensione di tutti, sicuro, come lo sono tutt’ora, che la bellezza della storia avrebbe affascinato chiunque. Io ho ascoltato il Ramayana – e il Maha-bharata, un altro dei più importanti poemi indiani – per la prima volta quando avevo diciotto anni. Ne rimasi così entusiasta che dentro di me ho serbato per tanti anni il desiderio di scrivere libri di racconti tratti da quella letteratura. E non solo dal Ramayana o dal Maha-bharata, ma anche da altri, come ad esempio i Purana. Tutte le Itihasa vediche – i libri di racconti – sono così affascinanti che nessun uomo può resistere alla tentazione di leggerle e rileggerle ancora.
Dopo quelle prime fortunate circostanze, nei miei viaggi a Londra, Delhi e Bombay ho acquistato diverse edizioni del Ramayana e del Maha-bharata, e mi sono immerso nel loro studio. Ho letto questi libri un numero considerevole di volte. Ciò mi ha dato una discreta padronanza della loro struttura narrativa e anche dei profondi significati filosofici e spirituali di cui entrambi i poemi sono immensamente ricchi. Ammetto di aver letto il Maha-bharata ancora più volte del Ramayana, ma sono sincero quando dico che quest’ultimo ha un posto speciale nel mio animo amante delle storie.
Cenni di carattere storico
Ben più antico del Maha-bharata, il Ramayana fu scritto molti e molti anni fa da un saggio rispettato e venerato: Valmiki Muni. Dapprima Valmiki non era ciò che ai suoi tempi era considerato un ariano – o un uomo rispettato per la sua statura spirituale. Al contrario era un uomo di scarsi principi morali. Ma, per l’intercessione di alcuni santi che ebbe la ventura di incontrare, Valmiki cambiò così profondamente la propria mentalità che divenne uno dei saggi più rispettati dell’epoca. Potenza dei puri devoti, direbbe il poeta stesso.
Il Ramayana è una storia molto antica, forse la più antica che il mondo ricordi. Quanto antica? Ci sono datazioni diverse che cambiano considerevolmente a seconda dello studioso, ma le stime più attendibili fanno risalire il primo manoscritto, quello originale, a ben prima che la storia occidentale registrasse le prime civiltà. Nei tempi che gli studiosi chiamano preistorici, in India fioriva la più grande ed avanzata civiltà mai esistita.
Valmiki scrisse il suo poema quasi interamente in contemporanea allo svolgersi della vicenda stessa, e poi lo rese pubblico grazie ai suoi discepoli, che andarono a recitarlo ovunque, cantando e accompagnandosi con strumenti musicali.
Cenni di carattere geografico
Ayodhya si trova nello stato dell’Uttara Pradesh, nel nord dell’India, non lontana dal grosso centro commerciale di Lucknow. E’ una città grande e prospera, molto bella. Ad Ayodhya i devoti di Rama sono praticamente il cento per cento della popolazione, ed esistono ancora numerosissimi luoghi che commemorano il regno di Rama (ramarajya).
L’eremo di Valmiki esiste ancora, ed è un luogo di pellegrinaggio molto frequentato. Non è lontano dalla odierna Allahabad, appena attraversato il Gange.
Citrakuta è una bellissima collina non lontana dall’eremo di Valmiki, ma più a sud.
Dandaka è una gigantesca foresta che tempo fa si estendeva per un territorio così ampio che oggi toccherebbe almeno quattro stati dell’India: il Madhya Pradesh, il Rajasthan, il Gujarat e il Maharastra.
Pancavati si trova nel Maharastra, non lontana da Bombay. Nel luogo dove Laksmana ferì Surpanakha oggi sorge la città di Nasik.
La città di Kiskindha e la foresta dove Sugriva si era nascosto, con ogni probabilità si trova tra i confini degli stati dell’Andhra Pradesh e del Karnataka.
Il ponte che Rama e i Vanara costruirono si può vedere ancora oggi presso Ramesvaram, nello stato del Tamil Nadu.
E ovviamente Lanka esiste ancora: è l’isola che fino a poco tempo fa veniva chiamata l’isola di Ceylon e che oggi è stata ribattezzata col suo nome originale, Sri Lanka.
Questi sono i luoghi principali che incontrerete nel corso della lettura. Vi consigliamo di aiutarvi con una buona cartina dell’India.
Cenni di carattere filosofico
Il Ramayana ci offre anche alcuni punti filosofici che ritengo importanti da trattare, anche se brevemente.
L’uomo ha sempre sentito il bisogno di un Dio personale. Non potrebbe essere altrimenti, poichè l’uomo è una persona. Il nostro anelito è sempre stato diretto verso la scoperta della trascendenza, ma al cospetto di questa talvolta siamo sgomenti, atterriti di fronte all’assenza di entità individuali. Abbiamo bisogno di un Dio personale. E difatti egli, in accordo ai migliori testi vedici, è proprio una persona. Talvolta, poi, ci piacerebbe che egli fosse come noi, in un certo qual modo “in carne ed ossa”.
Rama è molto vicino a questo ideale divino. Rama soffre, Rama si è visto privato della moglie, Rama è come un uomo. Difatti, più che come un’incarnazione divina (avatara), si è comportato da superuomo, e possiamo così sentirlo vicino e allo stesso tempo guardare a lui con rispetto e venerazione, non potendo fare a meno di restare influenzati dal suo carattere irreprensibile. E nel Ramayana si pone più enfasi sull’umanità di Rama, sul suo essere uomo, che sulla sua divinità. Gli dei sono dei, e talvolta li sentiamo lontani, in quanto non sono partecipi dei nostri dolori e delle nostre gioie.
Ma, dopo aver accennato all’umanità di Rama, vediamo la sua divinità. Prima di tutto cosa significa divinità? Secondo gli antichi testi vedici la divinità non è solo un concetto: è una persona ben precisa. Per questo quando se ne presenta la necessità egli si incarna, cioè scende su questa terra mantenendo tuttavia intatta la sua divinità. Ciò vuol dire che non acquisisce un corpo fatto di elementi materiali, ma mantiene il suo corpo spirituale. Mondo spirituale con varietà precise, dunque, con individualità delineate e scopi salvifici nei confronti di coloro che sono in questo mondo “di illusioni”. Allora come mai, viene da chiederci, se Rama aveva un corpo fatto di elementi spirituali, in certi momenti viene ferito, sanguina, prova dolore come un uomo qualsiasi? Come mai, nella sua divinità, cade sotto gli inganni di Ravana? Come mai se le relazioni e la stessa natura spirituale sono eterne e piene di gioia c’è tanto dolore nella sua storia? La risposta a questi quesiti si trovano nella Bhagavad-gita e nello Srimad-Bhagavatam, i migliori testi che danno informazioni precise sulla natura spirituale e sulle leggi che la governano. Le attività divine sono imponderabili nella loro essenza personale: Dio non è qualcosa che deve forzatamente andare oltre la nostra capacità di comprensione. Spesso possiamo comprendere il suo animo guardando il nostro e facendo le debite proporzioni. In fin dei conti non siamo forse fatti a sua immagine e somiglianza? Dio persona significa gusti, piaceri, e anche dolori; ma non come i nostri, materiali, bensì spirituali, i quali possono sembrare come i nostri ma non lo sono. La loro qualità varia infinitamente.
Spirito e materia, dunque: due energie diverse che provengono da una stessa sorgente: una e differente. Secondo i Veda ciò che Dio fa non è mai materiale, ma sempre spirituale.
Nel passato, negli ambienti degli studiosi e degli intellettuali indiani, uno dei punti filosofici più dibattuti verteva sul principio spirituale che non poteva mai venire a contatto con il principio opposto, quello materiale. Sita era l’incarnazione di Lakshmi, la dea della fortuna, la compagna di Vishnu, un indiscusso principio spirituale assoluto; e Ravana era indubbiamente un materialista, uno dei peggiori che la storia ricordi. La questione era dunque impostata così: in accordo ai precetti vedici un materialista non può mai venire a contatto con una realtà spirituale, che dire di rapirla, cioè di possederla, di prevaricare su di essa, anche se per un periodo di tempo relativamente breve. La materia non può mai sopraffare lo spirito. Può solo essere attratto a ciò che lo spirito rappresenta. A Ravana, signore incontrastato di tutto ciò che lo circondava, mancava solo una cosa: la divinità, cioè di essere egli stesso Dio. Lakshmi era la compagna eterna di Vishnu, il Signore Supremo. Non dobbiamo stupirci se Ravana fu attratto al principio che Sita impersonificava: possedere Sita significava per Ravana diventare Dio. Detto questo rimane il quesito: come fece Ravana anche solo a toccare Sita? Per secoli si è dibattuto su questo punto. Infine la risposta venne. Chi la trovò, nelle pagine ingiallite di un antico Purana (il Kurma Purana), fu il famoso santo e mistico Chaitanya Mahaprabhu, considerato una delle più attraenti incarnazioni divine. Le risposta fu semplice: Ravana non rapì Sita. Un materialista non può toccare un principio spirituale, ma solo un’ombra di esso, una parvenza. Nel momento in cui Ravana afferrò Sita, lei si trasformò in Durga, la terribile dea creatrice dell’universo materiale, che ha il compito di illudere e poi distruggere ogni materialista. Ravana, nella sua euforia, non poteva immaginare chi stava portando nelle braccia: quella che sembrava solo una donna stupenda sarebbe stata la causa della sua distruzione. Poi, quando Sita entrò nel fuoco uscendovi illesa in compagnia di Agni, riprese la sua identità originale. Sita dunque mai rimase nella casa di Ravana; la sua purezza è al di sopra di ogni discussione.
Cosa significa essere devoto di Rama? O di Vishnu? O della loro origine primordiale, Krishna? Significa amarlo, significa servirlo, significa dargli tutto ciò che si ha, per quanto poco. Nel Ramayana stesso c’è una storia molto simpatica che è stata omessa nel testo. Ve la riporto ora. Mentre i possenti Vanara prelevavano enormi macigni, picchi di montagne, alberi giganteschi e ogni altra cosa che potesse far volume nella costruzione del ponte, un ragno volle partecipare spingendo nell’acqua con le sue zampette dei granelli di sabbia. Hanuman lo vide e rise di lui. “Spostati, non vedi che stiamo lavorando? Cosa vuoi che ce ne facciamo dei tuoi granelli di sabbia?” Rama non era distante e lo sentì. “No, Hanuman,” lo rimproverò, “non dire queste cose. Per me non c’è differenza tra il servizio che mi stai rendendo tu e quello che mi sta rendendo lui. il servizio quando fatto con amore è assoluto. Ciò che conta è la devozione, non la quantità. Questo ragno vuole servirmi facendo ciò che è nelle sue possibilità e tu mi stai servendo in quelle che sono le tue. Che differenza c’è dunque fra te e lui?” Hanuman comprese e si rattristò di aver parlato in quella maniera al ragno. La bhakti (la devozione) per Rama o per Krishna significa servirlo con amore in tutto ciò di cui siamo capaci. Le qualità dell’azione è ciò che conta; la quantità è secondaria.
Per concludere diremo anche qualcosa su Ravana e Kumbhakarna. Secondo lo Srimad-Bhagavatam, Quarto Canto, i due guardiani dei pianeti spirituali Vaikuntha di nome Jaya e Vijaya commisero un’offesa contro i quattro saggi figli di Brahma, i Kumara, che li maledissero a cadere in questo mondo materiale. E rinacquero per tre volte come grandi demoni: la prima volta come Hiranyakasipu e Hiranyaksha, la seconda come Ravana e Kumbhakarna, la terza come Sishupala e Dantavakra.
Che importanza può avere nella realtà moderna?
Nonostante la sua antichità, il Ramayana non è obsoleto. Questi poemi esercitano un grande fascino e posseggono una freschezza sempre nuova, tanto che trascendono le limitazioni imposte dal tempo, dallo spazio, dalle differenze culturali, religiose e sociali. Il Ramayana è letto in India come lo è la nostra Bibbia in occidente. Chi non conosce la Bibbia? Forse non tutti l’avranno letta, ma non credo che si troverà qualcuno che non ne abbia mai sentito parlare. In India tutti conoscono il Ramayana. Tutti amano Rama, e Sita, e Hanuman, e Laksmana. Tutti detestano Ravana, e Indrajit, e perfino Manthara, simbolo dell’invidia e della perfidia. Era dunque ora che il Ramayana fosse presentato anche in lingua italiana.
Come capire il Ramayana?
Per capire questi poemi è necessario avere innanzitutto una preparazione minima della filosofia vedica, del concetto del Dio persona, delle sue energie, dei suoi avventi in questo mondo in diverse incarnazioni che rispettano caratteristiche differenti l’una dall’altra.
E’ infatti verissimo che il Ramayana di Valmiki è più di un’epica. Rama in India ha sempre goduto di una popolarità senza precedenti, milioni di persone l’hanno adorato come un Dio per millenni. Sono migliaia i templi in onore di Rama – solo ad Ayodhya sono 7600 – e non solo per rispettarlo per ciò che storicamente è stato, ma soprattutto per adorarlo come Dio. Difatti Rama – in accordo non solo al Ramayana stesso, ma anche a molte altre opere vediche – è considerato un’incarnazione divina. Gli hindu quindi lo adorano come tale. Rama, nella storia, è stato la personificazione di tutto ciò che ci si può aspettare da un figlio, da un fratello, da un marito, da un alleato, da un condottiero, e da un re. Rama è stato tutto questo nella maniera più ideale e più perfetta.
I tesori dell’India
Cosa ci nasconde l’India? Quante persone ogni anno viaggiano avanti e indietro in quell’assolato e rovente paese? Perché cosi tanti poeti, scrittori, musicisti, pittori, artisti in genere, si sono rivolti all’India per un rinnovamento interiore? L’India nasconde? No, non c’è nessun mistero. Esiste, ed è sempre esistito, un tesoro incalcolabile di tradizione e di cultura, un orizzonte così vasto che noi, anche con una timida occhiata, non possiamo che rimanere incantati e ammirati. Come dobbiamo misurare e giudicare l’India? Non certo da ciò che si vede troppo spesso in televisione, o da ciò che ci mostrano e ci fanno credere i mass-media. L’India non è quella dei villaggi di capanne, delle masse affamate e impoverite: quello è solo un aspetto secondario, anche se reale. Ma la vera India, quella più grande, quella che attrae milioni di persone speranzose è quella dei poeti che hanno scritto i Veda, quella degli intellettuali delle Upanishad, dei fondatori della filosofia del Vedanta e del Sankhya, ed è quella degli autori dei libri di legge più antichi. Questa è la vera India, quella che dovremmo scoprire.
Possiamo imparare qualcosa di pratico?
Rama è stato una persona ideale. Come possiamo non imparare qualcosa da lui? Possiamo imparare ad amare tutti, ma anche a difendere vigorosamente quei principi che innalzano l’animo umano. Anche oggi i migliori principi spirituali sono costantemente messi in pericolo. Certamente non c’è un demone come Ravana, però la società si è organizzata in un lavoro più capillare, diabolico nella sua dinamica. Non c’è Ravana, ma non c’è neanche Rama. In questa società manca una guida spirituale che indichi il sentiero della virtù. Sta a noi cercare e trovare.
Ramayana allegoria o fatto storico?
Non sono pochi coloro che tentano di descrivere il Ramayana come un’opera allegorica, svuotandola così del suo valore storico. Molti dicono che il Ramayana è in realtà una descrizione poetica del progresso della cultura aryana nel suo stabilirsi nel sub-continente indiano. Questa ed altre sono teorie suggestive, ma allo stesso tempo sono una negazione della realtà storica, filosofica e teologica.
Il Ramayana ci riporta una storia realmente accaduta: Rama, Sita, Hanuman, Ravana e tutti gli altri personaggi che compongono il vasto orizzonte del poema sono realmente esistiti. Le sue basi storiche e la sua antichità sono state più che provate. Basterebbe un semplice viaggio ad Ayodhya, giù lungo tutto il tragitto che Rama fece fino alla suggestiva Ramesvaram per fugare ogni dubbio. Il Ramayana, i suoi personaggi e i fatti narrati sono una realtà storica.
Per fugare alcune perplessità
Sono perfettamente cosciente che, quando affermo la storicità del Ramayana, suscito non poche perplessità nella mente dei lettori. Ci sono, nella narrativa, numerosi spunti che danno da pensare ad affascinanti mitologie e nulla di più. Eppure il Ramayana rimane un fatto storico.
Non c’è da stupirsi per le narrazioni dei meravigliosi poteri occulti dimostrati da certi saggi. Ancora oggi in India molti asceti compiono atti davanti ai quali la nostra scienza abbassa la testa, strabiliata e incapace di dare spiegazioni razionali.
E neanche dobbiamo stupirci di fronte alle descrizioni del potere di certe armi a noi oggi sconosciute. Fino a pochi decenni fa la bomba atomica non era stata ancora scoperta, ma l’energia atomica era nondimeno esistente.
Quello del Ramayana era un altro momento storico, con una cultura completamente diversa dalla nostra. Le capacità dell’uomo erano coltivate con attenzione, così da sviluppare poteri che a noi sembrano impossibili. Si era in Treta-vuga, in un’era di grande progresso umano. Non sorprendiamoci davanti al meraviglioso. Tutto ciò che a noi oggi sembra improbabile domani potrebbe diventare una realtà inoppugnabile.
E le capacità guerriere di alcuni, come sono descritte nel Ramayana? Sono esagerazioni nate dalla mente fertile dei poeti di quei tempi, o c’è una verità in tutto ciò? Molti elementi ci fanno sospettare fortemente che quelle descrizioni corrispondessero alla verità. Quanti di noi sono rimasti allibiti di fronte alle capacità nel combattimento di coloro che coltivano certe arti marziali orientali?
E chi erano realmente i Raksasa? Il Ramayana afferma che erano una razza di persone di molto superiori agli uomini in forza e capacità. Una razza sovrumana, dunque. Alcuni studiosi sostengono che si tratta di popolazioni non-ariane, tribù primitive che col tempo furono vinte dagli antichi guerrieri indiani. Sostengono la tesi che fossero selvaggi. Ma la civiltà, la bellezza artistica e architettonica, nonchè la prosperità che troviamo a Lanka può essere ben comparata a quella che troviamo ad Ayodhya, se non in certi versi addirittura superarla. E Ravana adorava gli dei ariani Shiva e Brahma e seguiva gli stessi riti delle popolazioni cosiddette civilizzate. Nel Ramayana è persino riportato il dettaglio di Ravana che si inchina e mostra rispetto alla mucca Surabhi. Quindi i Raksasa non erano barbari. E se fossero proprio ciò che il poeta dice?
Chi sono i Vanara? Gli stessi studiosi affermano che fossero aborigeni del Deccan, altri addirittura dicono che sono l’anello mancante della catena darwiniana. Che non fossero stati semplici scimmie è abbastanza evidente. Avevano i loro regni, le loro devozioni e le loro regole morali. Erano popolazioni altamente civilizzate.
Noi suggeriamo di trovare le risposte a questi e ad altri quesiti che sorgeranno nel corso della lettura nel Ramayana stesso. Non è una favola, nè un’allegoria, nè un racconto mitologico. E un libro storico che racconta una bellissima avventura realmente accaduta.
La struttura della presente edizione
La traduzione letterale e la versione in prosa integrale di antichi poemi epici è sempre un lavoro arduo. Noi non abbiamo voluto fare nè l’uno nè l’altro. Con ciò non vogliamo dire che non sarebbe importante farlo: al contrario lo sentiamo come un preciso dovere. Ma questa edizione del Ramayana è nata con lo scopo di presentarlo in maniera breve, semplice, concisa. Abbiamo voluto solo raccontarvi la storia, presentarvi questi favolosi personaggi e l’avventura di cui sono stati protagonisti. Speriamo che sarà di vostro gradimento.
Ci scusiamo con gli studiosi di storia o di lingua sanscrita che troveranno i nomi dei personaggi o la terminologia generale adattata e semplificata, ma anche per questo vale il principio appena esposto.
Ci scusiamo, inoltre, se abbiamo dovuto calare le nostre forbici dissacratrici tagliando una buona parte del vasto poema, ma non ci è stato possibile presentarvelo in versione integrale. Allo stesso tempo vi possiamo assicurare che la storia centrale è stata scritta fedelmente e senza aggiunte o manipolazioni. La storia è la stessa che Valmiki ha raccontato. Abbiamo cercato di darvi il Ramayana in una versione scorrevole, facile, non impegnativa, in modo che questo primo approccio alle meravigliose storie dell’india avvenisse in maniera piacevole.
Come l’originale, il Ramayana che vi presentiamo è suddiviso i sette capitoli. Nell’indice analitico vi abbiamo dato i titoli dei paragrafi in modo da guidarvi lungo le intricatezze della storia. Ci auguriamo che li troverete utili.
I sette capitoli (o kanda) sono i seguenti:
1 – Bala Kanda
2 – Ayodhya Kanda
3 – Aranya Kanda
4 – Kiskindha Kanda
5 – Sundara Kanda
6 – Yuddha Kanda
7 – Uttara Kanda
Bala Kanda (il primo capitolo) racconta il concepimento del poema da parte del suo autore; poi ci conduce attraverso tutte le vicissitudini che portano Rama a conoscere Sita, fino al loro matrimonio.
Ayodhya Kanda (il secondo capitolo) tratta del complotto di Manthara e di Kaikeyi, l’esilio di Rama, la morte di suo padre e il tentativo del fratello di Rama di riportarlo in città.
Aranya Kanda (il terzo capitolo) tratta della vita di Rama, Laksmana e Sita nella foresta, il primo attrito con i Raksasa, il dramma del rapimento di Sita e la ricerca disperata di Rama.
Kiskindha Kanda (il quarto capitolo) tratta dell’incontro con i Vanara, dell’uccisione di Vali, e della spedizione dei Vanara alla ricerca di Sita. Ritrovano le sue tracce: è in un’isola, Lanka.
Sundara Kanda (il quinto capitolo) tratta del salto sovrumano di Hanuman e del ritrovamento di Sita. Hanuman torna vittorioso e porta la bella notizia a Rama.
Yuddha Kanda (il sesto capitolo) tratta della sanguinosa guerra nella quale Rama emerge vittorioso. Ritorna ad Ayodhya, nella quale è incoronato re.
Uttara Kanda (il settimo capitolo) tratta della dinastia dei Raksasa e delle gesta di Ravana. Racconta poi alcuni episodi della vita di Hanuman. L’esilio definitivo di Sita è il momento più toccante dell’intera opera e la nascita dei suoi figli nell’eremo di Valmiki, l’autore del poema. Durante la narrazione della storia, Rama chiede a Valmiki di riportargli Sita che, per dare la prova definitiva della sua purezza, torna definitivamente alla Madre Terra. Il capitolo e il poema terminano con il ritorno di Rama e dei suoi fratelli nelle loro dimensioni spirituali d’origine.
Importante
Nel Ramayana ci sono molti nomi e termini sanscriti che, non facendo parte del nostro linguaggio, sono talvolta difficili da ricordare. Dunque attenzione: alla fine del libro c’è un glossario dedicato interamente ai personaggi e ai termini ai quali non siamo abituati.
Consultatelo, e buona lettura.
Firenze, 1° giugno 1987
Manonatha Dasa (ACBSP)
Contatto: www.isvara.org
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
Per acquistare il libro completo, clicca qui sopra
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