La Kali-santarana Upanisad, che fa parte dello Yajur Veda, afferma:
hare krishna hare krishna
krishna krishna hare hare
hare rama hare rama
rama rama hare hare
iti sodasakam namnam
kali-kalmasa-nashanam
natah parataropayah
sarva-vedesu driyate
“I sedici nomi del maha-mantra Hare Krishna — Hare Krishna Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare / Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare — distruggono le iniquità dell’era di Kali. Questa è la conclusione definitiva di tutti i Veda.“
Il significato della citazione sopra riportata è importante: questo testo delle Upanishad è un dialogo tra Brahma, il primo essere creato, e Narada, suo discepolo, che gli chiede quali siano i mezzi più efficaci per ottenere la liberazione in questa era. Brahma risponde con i versi sopra citati e in un verso precedente informa Narada che il maha-mantra è “il vero segreto della letteratura vedica”, sottolineando in tal modo la natura confidenziale del mantra e la sua importanza per la tradizione vaisnava.
Nella tradizione vaisnava, i guru e i saggi testimoniano l’importanza del maha-mantra. Ma le scritture? Una lettura superficiale potrebbe far pensare che non lo fanno, anche se i riferimenti lo suggeriscono con forza — i testi più importanti parlano del santo nome, ma non citano mai direttamente il mahamantra. È solo in quella che gli eruditi definiscono come letteratura “più tarda” che generalmente si trova il mantra. Gli eruditi moderni, che non appartengono alla tradizione, affermano che i quattro Veda e le Upanisad costituiscono i più antichi testi vedici (chiamati Sruti), mentre i Purana e i poemi epici apparvero più tardi. Di conseguenza, seguendo questa teoria, anche il vaisnavismo o la coscienza di Krishna sono apparsi più tardi, poiché la loro pratica specifica è riportata solo nella letteratura “più tarda”.
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