Dopo il chuda karana (il primo taglio di capelli) e il karna bheda (la foratura dei lobi per gli orecchini), Nimai fu solennemente iniziato all’arte della scrittura. Suo padre gli mise in mano un pezzetto di gesso e gli mostrò le lettere dell’alfabeto. Il bambino imparò tutte le lettere semplici e composte in soli due giorni, con grande meraviglia di tutti.
Nimai era certamente un bambino molto brillante, ma era anche un monello irrequieto. Insisteva sempre per fare a modo suo, spesso contro gli ordini della madre – giocava troppo vicino alla sponda del fiume, pestava i piedi, si strofinava il corpo con la fuliggine presa dal fondo delle pentole sporche, e così via. Faceva spesso i capricci e si lasciava andare a scenate terribili finché non otteneva ciò che voleva. Vedeva la luna piena e si arrabbiava perché la mamma non voleva dargliela: scalciava, tirava i capelli della mamma, le afferrava il sari e le colpiva il volto, poi si rotolava a terra a piangere. Si calmava soltanto quando la luna veniva coperta dal movimento delle nuvole, e Saci gli diceva che la luna, spaventata dal suo cattivo carattere, era scappata a nascondersi.
Il Chaitanya mangala dice che un giorno Nimai si arrabbiò tanto con sua madre che le tirò un pezzetto di mattone. Saci decise di dargli una lezione e finse di svenire, lasciandosi cadere a terra. Il bambino rimase esterrefatto e si mise a piangere. Le signore del vicinato accorsero e spruzzarono acqua sul volto di Saci, ma dopo essersi rianimata per un attimo, Saci si accasciò nuovamente. Le donne compresero la situazione e dissero,
“Nimai, vai a cercare due noci di cocco per tua madre: è l’unica medicina che può salvarle la vita. Altrimenti, la perderai.” Immediatamente Nimai presentò due noci di cocco, con grande meraviglia delle signore – compresa Saci stessa – che non riuscivano a spiegarsi da dove fossero saltate fuori.
Bisogna dire però che dalle storie della sua prima infanzia sembra che Nimai si arrabbiasse soltanto quando sua madre (anche lei piuttosto caparbia, a quanto pare) cercava di imporgli un comportamento molto convenzionale, specialmente riguardo a ciò che ci si aspettava da lui come membro della comunità dei brahmini ortodossi. Per esempio, una volta Nimai trovò un cucciolo di cane e vi si affezionò molto, ma la madre mise l’animale fuori di casa e cercò di mandarlo via, perché era molto preoccupata per l’igiene. Una volta, in ekadasi, Nimai decise che voleva mangiare il cibo offerto a Vishnu da due cari amici di Jagannatha Mishra – Hiranya e Jagadisha. Si calmò soltanto dopo aver assaggiato quel prasada, che il padre andò a procurarsi personalmente. Anche quel comportamento era piuttosto anticonvenzionale.
Nimai amava giocare nel fiume Ganga, a volte anche per ore. Gli piaceva spruzzare la gente e tirarla sott’acqua per gioco quando i poveretti erano impegnati in meditazione a recitare i loro mantra. Rubava loro i vestiti, gli ingredienti preparati per la puja e persino il Shiva linga che portavano alla Ganga per la loro adorazione quotidiana. Assaggiava regolarmente le loro offerte prima che il rituale fosse completato. Si avvicinava di soppiatto alle persone e poi saltava loro addosso alle spalle gridando, gettando sabbia o spruzzando acqua dalla bocca su di loro dopo che avevano finito di fare il bagno. Si divertiva sia con gli uomini che con le donne, ma non mancò mai di rispetto alla dignità di una donna o di una ragazza.
E’ detto che una volta si intromise nel rituale di adorazione celebrato da un gruppo di ragazze, che stavano pregando Shiva e Parvati per ottenere un buon marito: Nimai si mangiò le offerte, dicendo che avrebbe dato personalmente istruzioni a Shiva e Parvati di soddisfare le loro richieste, ma le ragazze non lo presero sul serio e andarono a lamentarsi con i suoi genitori.
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