“In quella campagna militare passarono anni. Poi Ravana tornò a Lanka. Lì lo aspettava la sorella Surpanakha, profondamente addolorata per la perdita del marito. Il fratello la consolò e la affidò alle cure di Khara, che risiedeva a Dandaka con quattordicimila potenti Raksasa. Contento di aver sistemato anche questo problema, Ravana entrò nella foresta Nikumbhila con i suoi collaboratori più intimi. Lì trovò suo figlio Meghanada che stava svolgendo un sacrificio in compagnia di alcuni asceti.
“Figlio mio,” disse, sorpreso di trovarlo lì. “Cosa stai facendo? Perché stai svolgendo quel sacrificio? Per chi è quell’offerta?”
“Meghanada non rispose.
“Tuo figlio ha fatto il voto del silenzio,” gli rispose il saggio Ushana, “non può risponderti. Questo è un importante e complicato sacrificio che ha lo scopo di propiziare Indra e di ottenere le sue armi. Con quelle tuo figlio diventerà invincibile.”
“Ravana divenne rosso di rabbia.
“Sacrifici ai Deva?” gridò. “A che serve fare sacrifici a chi è più debole? Cosa possiamo ottenere? Noi siamo più forti dei Deva. Mio figlio non ha bisogno di queste cose per diventare invincibile. Noi siamo già più forti di tutti.”
“Così dicendo prese Meghanada e lo portò via con sé, senza lasciargli terminare quel sacrificio. Solo per questa ragione voi avete potuto sconfiggerlo.
“Lo stesso giorno Ravana seppe che un Raksasa di nome Madhu aveva rapito sua cugina Kumbhinasi. Deciso a vendicare l’onore della famiglia, inseguì Madhu. Dopo averlo raggiunto stava per ucciderlo, ma Kumbhinasi intercedette a suo favore e Ravana lo perdonò. Unirono i loro eserciti e decisero di andare a sfidare Indra. Quella notte l’enorme esercito si accampò a Kailasa. Agitato, il re dei Raksasa non riusciva a dormire e passeggiò per la foresta. E vide una stupenda Apsara, Rambha, e non riuscì a controllare il desiderio sessuale. La chiamò.
“O bellissima fanciulla, dove stai andando a quest’ora di notte? Chi sei? La tua bellezza ha risvegliato in me il desiderio sessuale.”
“Mi chiamo Rambha,” rispose la fanciulla, “e sono un’Apsara. Sto andando da Nalakuvera, tuo nipote, il figlio di Kuvera. Come sai, le Apsara non hanno marito e quindi non avrei difficoltà a soddisfare i tuoi desideri, ma sono stata chiamata da Nalakuvera e in questo momento sono considerata sua moglie. Quindi ora non posso soddisfarti.”
“Ravana guardò ancora quella stupenda fanciulla, che sembrava la bellezza personificata. Era di una dolcezza indicibile: non poteva rinunciare a lei. Insistentemente le chiese di giacere con lui, ma lei rifiutò, impaurita dalla prospettiva della maledizione del saggio.
“No,” lo pregò Rambha, “il padre di colui che ora considero mio marito è tuo fratello, perciò tu sei come un padre per me. Non posso giacere con mio padre. E non è propizio neanche per te.”
“Ma a nulla valsero le parole e le preghiere di Rambha: Ravana non riusciva a controllare il desiderio e la prese con la forza. Quando ebbe soddisfatto i suoi sensi, Ravana la lasciò andare. Spaventata, lei corse da Nalakuvera e gli raccontò tutto. Il saggio perse la calma e pronunciò una maledizione:
“Se Ravana prenderà ancora una donna non consenziente, le sue teste si spezzeranno in sette parti.”
“Venuto a conoscenza della maledizione, da quel giorno Ravana non tentò più di violentare nessuna donna. Solo per questo egli non tentò mai di prendere Sita con la forza.
“Dopo molto tempo giunsero ad Amaravati, la città di Indra e la capitale dei pianeti celesti. Quando i Deva videro arrivare lo sterminato esercito, corsero a chiedere aiuto a Vishnu.
“Non temete,” rispose il Signore, “quando sarà arrivato il momento io distruggerò Ravana e tutta la sua stirpe di malvagi Raksasa.”
“La battaglia si accese. Sumali venne ucciso dall’ottavo Vasu, e il figlio di Indra venne sconfitto da Meghanada. Durò molti giorni. I Raksasa erano potentissimi. Alla fine, dopo una feroce battaglia, anche Indra fu sconfitto e fatto prigioniero da Meghanada: in quel frangente si avverò la maledizione di Gautama Muni. Vedendo la situazione critica, Brahma intervenne personalmente e Meghanada rilasciò Indra. Così Brahma pensò di ricompensare il figlio di Ravana per la sua obbedienza.
“Oggi tu hai conquistato Indra, e per questo sarai conosciuto come Indrajit. Chiedimi una benedizione: cosa desideri da me?”
“Voglio essere immune dalla morte fintanto che sono sul mio carro di guerra e fintanto che riesco a completare le mie preghiere giornaliere,” chiese Indrajit dopo aver riflettuto.
“Brahma glielo concesse. Come ricordi, Laksmana colpì Indrajit quando egli non era sul carro e in un giorno in cui non poté completare i suoi riti.”
Coloro che avevano sconfitto Ravana
Rama ascoltava il racconto con grande attenzione e interesse. Poi gli venne in mente una domanda.
“Ho ascoltato questo racconto e sono sorpreso dal fatto che quasi nessuno fu mai in grado di sopraffare Ravana. E’ mai possibile,” chiese, “che a quel tempo non esistessero re valorosi che potessero sconfiggerlo? Se ce ne fu qualcuno mi piacerebbe ascoltare le sue gesta.”
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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