Nei pianeti superiori i Deva osservavano con apprensione. Rama aveva già riportato delle vittorie importanti e c’erano buone speranze che tutto andasse per il meglio. Ma ora a combattere c’era Ravana in persona. Conoscevano bene le capacità del Raksasa. Indra si preoccupò e pensò di aiutarlo. Vedendo Rama impegnato in un feroce combattimento contro l’acerrimo nemico, il condottiero celestiale mandò il suo carro per aiutarlo.
Matali, il guidatore del carro di guerra di Indra, si presentò di fronte a Rama e gli offrì il suo aiuto. Rama accettò gioiosamente e montò sul leggendario carro. E la battaglia continuò a lungo, nessuno dei due si risparmiava e provarono colpi possenti: Rama colpiva Ravana, Ravana colpiva Rama, ma nessuno sembrava poter avere la meglio sull’altro. In una circostanza Ravana fu ferito da Rama e svenne sul proprio carro, e fu portato fuori dal campo di battaglia. Quando riprese i sensi, il Raksasa rimproverò aspramente il suo auriga e tornò impetuosamente indietro.
Il combattimento riprese e si protrasse per molto tempo. Rama era affaticato e preoccupato. Non riusciva ad avere la meglio. Sentiva affievolirsi il desiderio di combattere. Tra i saggi che dal cielo assistevano al duello c’era anche Agastya.
“Rama, recita costantemente la preghiera al Deva del sole conosciuta come aditya-hridaya,” gli suggerì con voce eterea. “Grazie al potere di questo mantra sarai in grado di uccidere Ravana.”
Incoraggiato dal suggerimento del famoso santo, Rama riprese il combattimento con vigore, mettendo il suo nemico in grave difficoltà. E presagi favorevoli furono visti tutt’intorno a lui e se ne scorsero di cattivi dalla parte di Ravana. Rama ne era certo: quei segni indicavano che la vittoria era vicina. Lo scontro tra i due guerrieri fu il più feroce di tutti, ma il momento fatale arrivò.
Scagliando contro i colli del nemico potenti frecce, Rama staccò una dopo l’altra le dieci teste di Ravana. Ma appena mozzate, quelle ricrescevano istantaneamente. Ravana sembrava invulnerabile. Così Rama decise di usare l’arma di Brahma. Recitando con somma devozione le migliori preghiere a Brahma, il principe fissò una freccia nel suo arco e la scagliò contro il cuore del Raksasa. Si udì un fragore assordante: la freccia colpì il bersaglio, il cuore del Raksasa si spezzò in due. Ravana cadde sul terreno senza più vita.
E fu così che Rama, il figlio di Dasaratha, restituì la pace e la serenità a tutti uccidendo il più grande e crudele demone che esisteva.
I funerali
Vedendo Ravana morto, i Raksasa superstiti si arresero. Tutto si calmò: scese il silenzio.
Pian piano, con circospezione, dalle case e dai rifugi uscirono le prime donne, i bambini, gli anziani. I Vanara si ritirarono e li lasciarono uscire. Ovunque si vedevano scene di dolore. Chi era china sul corpo di un figlio, chi di un marito o di un padre: la scena che si presentava alla vista era pietosa. Persino Vibhisana si lamentò amaramente per la perdita di così tanti cari. Rama lo confortò e lo invitò a presenziare i funerali. E man mano che la sera calava il campo di battaglia assumeva sempre più un aspetto spettrale. Particolarmente patetico fu il lamento di Mandodari sui corpi del marito e del figlio Indrajit.
Il giorno stesso dei funerali di Ravana, Rama che era stato il maggiore artefice della vittoria incoronò Vibhisana re di Lanka. Tutti attendevano solo una cosa: di vedere Rama riunito a Sita.
“Sita ha sofferto per tanto tempo,” disse poi Rama ad Hanuman, “ed è giusto che venga avvertita al più presto del successo della nostra missione. Vai dunque da lei, e dille che ora Vibhisana è il re di Lanka e che egli desidera vederla.”
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