Ravana rapisce Sita

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Era il momento che Ravana stava aspettando.

Senza perdere tempo, prese le sembianze di un asceta e cantando mantra in lode a Shiva si diresse verso la capanna dove era Sita. Sita lo vide arrivare, ma non si insospettì. Un vecchio asceta che cantava preghiere a Shiva era un incontro comune nella foresta. Mentre si avvicinava, Ravana rimase folgorato dalla bellezza di Sita e la sua lussuria si accese. Ma ad un certo punto, inspiegabilmente, vide che non riusciva ad andare avanti. Il cerchio magico creato da Laksmana gli impediva di fare altri passi. Per quanto spingesse con tutte le sue forze non riuscì ad avanzare. Una violenta rabbia si accese nel suo cuore, ma la controllò. Sita vide il vecchio asceta visibilmente stanco ed affamato: non poteva sospettare chi fosse veramente. Mossa dalla pietà decise di portargli cibo e acqua. E oltrepassò il cerchio magico. Ravana ammirò più da vicino la sua bellezza senza difetti, e mentre aspettava il cibo e l’acqua che gli porgeva le rivolse la parola.

“Chi sei tu? E cosa fai qui da sola in questa foresta infestata da demoni cannibali? Non sai quale pericolo corri.”

“Sant’uomo,” rispose Sita con dolcezza. “Io non sono nata nella foresta, né sono figlia di qualche asceta. E non sono sola. Mio marito è andato a caccia di un meraviglioso cervo e presto sarà di ritorno con suo fratello. Io sono la figlia di un re, così come lo è il mio sposo. Siamo stati esiliati nella foresta per quattordici anni. Per questo sono qui ora sola in questa foresta pericolosa.”

“La tua bellezza è senza paragoni,” riprese Ravana, “e nemmeno i migliori poeti potrebbero descriverla. Una donna come te non dovrebbe vivere neanche un istante in un luogo così miserevole.”

Sita pensò che parole del genere erano alquanto strane nella bocca di un asceta e cominciò a sentirsi a disagio. Quel vecchio emanava un’atmosfera di estrema asprezza e negatività. Rispose che era il dovere di ogni moglie casta di seguire il marito qualunque sia il suo destino. Ora l’asceta quasi sghignazzava.

“Quando il marito cade in disgrazia, come il tuo Rama, bisogna abbandonarlo. La vita è fatta per provare le sue delizie. Che felicità può offrirti ora quel povero principe? Tu meriti molto di più: meriti di essere la regina del più grande re della terra.”

“Cosa dici?” replicò Sita sdegnata. “La più alta perfezione per una donna casta e onesta è quella di rimanere fedele al proprio marito in ogni circostanza: quando tutto va bene ma anche e forse soprattutto quando le cose vanno male. Io non tradirei mai Rama per niente e per nessuno al mondo.”

Ma ormai aveva capito di essere caduta in una trappola. Mentalmente chiese perdono a Laksmana e aiuto a Rama. Ravana guardava Sita con severità.

“Io non sono un povero vecchio asceta: io sono Ravana, il re della razza più potente dell’universo. Io voglio che tu diventi la mia regina, e che tu voglia o no lo diventerai.”

Così dicendo il Raksasa riprese le sue vere sembianze. Sita, vedendolo così maestoso e possente, rabbrividì. Oramai aveva capito tutto l’inganno. Prese a gridare e a correre, ma Ravana la afferrò e la gettò sul suo carro, nascosto nelle vicinanze. Sita gridava, piangeva, cercava di convincere il malvagio re a lasciarla, a non portarla via: ma inutilmente. Nessuno poteva più aiutarla. Il carro si alzò in cielo e partì con grande velocità. La povera Sita era affranta e terrorizzata. Cosa le sarebbe successo?

Jatayu sconfitto da Ravana

Il vecchio avvoltoio Jatayu, il loro caro amico, vide tutta la scena e, appena il carro fu in cielo, attaccò. Ma sapeva che stava tentando un’impresa disperata. In un generoso quanto inutile tentativo di liberare Sita, Jatayu attaccò l’invincibile Raksasa. E combatté con grande valore, uccidendo l’auriga e i muli magici che trainavano il carro, e distruggendo il carro stesso. Riuscì persino a ferire Ravana. Ma la furia di Ravana divampò come il fuoco della dissoluzione universale. Afferrò con furore la sua spada e con colpi vigorosi tagliò le zampe e le ali al povero Jatayu il quale, mortalmente ferito, precipitò al suolo. Oramai nessuno poteva più contrastarlo. Il carro distrutto, Ravana portò via Sita in volo. Disperata, Sita piangeva e si lamentava per la morte di Jatayu e per il suo crudele destino.

Sita lascia tracce

Poco dopo, mentre viaggiava in cielo, Sita vide alcune figure che da terra guardavano la curiosa scena del gigantesco Raksasa che portava via una giovane donna piangente. Pensando di lasciare qualche traccia, lasciò cadere delle stoffe e dei bracciali. Potevano essere un segnale per Rama quando l’avrebbe cercata.

Rama e Laksmana capiscono l’inganno

Cosa faceva Rama? Oramai aveva ben compreso il vile inganno e si preoccupò che il fratello potesse farsi ingannare dalle false grida di Maricha, lasciando imprudentemente Sita da sola. Mentre tornava rapidamente sui suoi passi, scorse tutt’intorno dei cattivi segni che lasciavano presagire una tragedia. E quando sulla strada incontrò il fratello che correva altrettanto affannosamente, le paure divennero angosciose realtà.

“Laksmana, che fai qui!” gli gridò. “Ti avevo detto di non lasciare Sita da sola!”

Laksmana riprese fiato e gli raccontò cosa era successo quando Sita aveva sentito le urla, e lo tranquillizzò che l’aveva lasciata protetta dentro un cerchio magico. Ma voleva solo rassicurarlo per un po’: anche lui sapeva cosa sarebbe accaduto se Sita fosse stata ingannata e indotta a uscire dal cerchio. Ambedue disperati, corsero con quanta forza avevano nelle gambe. Arrivati alla capanna la trovarono desolatamente vuota: tutt’intorno chiari segni di lotta. Oramai le loro più nere paure si erano tramutate in disperata realtà: Sita era stata rapita, o forse anche uccisa.

I due fratelli cercarono affannosamente ovunque: al ruscello, nel bosco, nelle radure, nei luoghi preferiti dove Sita andava spesso. Ma molto presto le ultime illusioni caddero: Sita era stata rapita dai Raksasa. Rama era sconvolto, non riusciva a tenere più la mente sotto controllo, i suoi occhi vagavano fulmineamente ovunque, nella speranza vana di scorgere l’amata.

“La mia cara Sita,” gemette. “Dove sarà ora? Chissà quale essere malvagio l’avrà rapita. E chissà se sarà ancora viva.”

Tutti i sentimenti di sofferenza per la separazione dalla compagna si scatenarono nel suo cuore.

“Come farò ora senza il suo sorriso che, come la luce, rischiara anche le più terribili tenebre di un destino avverso? E chi mi parlerà con la stessa voce limpida, dicendomi parole affettuose, piene di profondo amore? Io sono il colpevole di tutto ciò: non dovevo permetterle di seguirmi, qui, in questa dura foresta priva di ogni comodità e piena solo di Raksasa e animali feroci. Solo per un mio egoismo le ho permesso di seguirmi.”

Anche Laksmana era affranto, e più vedeva il fratello che piangeva e si lamentava e più si sentiva colpevole. Tentò di consolarlo.

“La troveremo. Vedrai che la troveremo. Continuiamo a cercare. Non scoraggiarti. Vedrai che la troveremo.”

La morte di Jatayu

Nella loro disperata ricerca arrivarono nel luogo del combattimento fra Jatayu e Ravana. Lì videro i resti del carro e i corpi dei muli e dell’auriga, mutilati in molte parti. Più in là il morente Jatayu. Avendo intuito che aveva tentato inutilmente di difendere Sita, Rama e Laksmana si chinarono tristemente sul loro caro amico. Rama lo chiamò con voce amorevole.

“Jatayu, amico mio, chi ti ha fatto questo? E’ lo stesso che ha rapito la mia Sita, vero? Dimmi, è ancora viva?”

Jatayu era moribondo. Parlava con un filo di voce.

“E’ stato Ravana…” disse con le ultime forze che gli rimanevano, “il re dei Raksasa… in persona. Voi vi eravate allontanati… e ha rapito Sita… Ho cercato di difenderla, ma sono troppo vecchio.”

Rama gli sorrise teneramente e lo accarezzò.

“Amico mio, non potrò mai ripagare il servizio che mi hai reso. Hai visto dove si dirigeva e se è ancora viva?”

“Sita è viva…” disse Jatayu, “non preoccuparti… non l’ucciderà. Sono andati a sud… a sud…”

Si fermò un attimo per riprendere fiato.

“Sita piangeva… e ti chiamava… ma non disperarti… presto la ritroverai… benedicimi… che in quest’ultimo istante della mia vita io possa ottenere lo scopo ultimo, la perfezione dell’esistenza… Rama.”

Pronunciando il nome santo di Rama, Jatayu spirò. Addolorati per la morte del caro amico, i due fratelli celebrarono il funerale secondo le tradizioni vediche. Poi si incamminarono verso il sud.

 

Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.

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