Sulla cima del monte viveva un gigantesco avvoltoio. Guardando i Vanara che si apprestavano a digiunare fino alla morte, ringraziò la provvidenza di avergli mandato così tanto cibo senza nessuno sforzo. Sampati – così si chiamava – uscì dalla sua caverna e si mise a osservare i Vanara che digiunavano, aspettando la loro morte.
Ricordate? Sampati era il fratello maggiore di Jatayu, che era morto nel tentativo di proteggere Sita. Angada vide il grosso avvoltoio e cominciò a lamentarsi.
“Amici, guardate quell’avvoltoio. Presto si ciberà delle nostre carni. Ma dobbiamo essere pronti anche ad abbandonare la nostra vita per servire Rama. Ricordate Jatayu a Pancavati? Ha sacrificato la sua vita per servire Rama. Coraggio, dunque: affrontate la morte da eroi.”
Sampati sentì il nome del fratello e solo allora apprese della sua morte.
“Principe, il mio nome è Sampati,” gridò ad Angada. “Quel Jatayu che prima hai nominato era il mio fratello minore. Ho sentito che è morto. Raccontami come è accaduto. Raccontami chi è quella persona per la quale ha sacrificato la sua vita e come l’ha incontrato.”
Sampati non aveva più le ali e si muoveva con difficoltà. Angada e gli altri erano diffidenti. Era veramente, quel grosso avvoltoio, il fratello di Jatayu?
“Aiutatemi a scendere giù da voi,” disse cercando di scendere. “Le mie ali sono state bruciate dai raggi del sole e da quel giorno non mi è stato più facile muovermi.”
I Vanara furono presi dal sospetto che stesse mentendo per mangiarli prima che fossero morti, ma decisero ugualmente di aiutarlo a scendere. Sceso tra di loro, Sampati non mostrò cattive intenzioni e i Vanara si rincuorarono. Angada gli raccontò la storia di Rama, il rapimento di Sita, lo scontro di Jatayu con Ravana e la sua morte.
Poi raccontò anche la storia dell’alleanza di Rama con Sugriva, la morte di Vali e la drammatica ricerca di Sita. Quando Angada ebbe finita la storia, Sampati sembrava triste.
“Jatayu era la persona più cara che avevo. E’ per lui che ho sacrificato le mie ali. Sapete, un giorno, molto tempo fa, stavamo tornando dai pianeti celesti e vidi che lui soffriva per il caldo eccessivo. Vedendolo così sofferente lo coprii con le mie ali, ma quel giorno i raggi del sole erano così forti che mi bruciarono e caddi su questa montagna chiamata Vindhya, dove ci troviamo ora. Da quel giorno non ho saputo più niente di Jatayu.”
Angada pensò che forse Sampati, che viveva sulle cime di quelle montagne, poteva aver saputo o visto qualcosa che poteva aiutarli nella ricerca. Non ci sperava molto, ma si sa, la speranza è l’ultima a morire.
“Forse tu puoi aiutarci,” gli chiese. “Sai qualcosa di Sita? Hai visto niente di strano? Aiutaci, se puoi.”
Sampati rifletté un momento.
“Si,” rispose lui, “ora che ci penso ricordo di aver sentito parlare di una bellissima donna che veniva portata via da un grande Raksasa. Lei gridava: Rama! Rama! aiuto!, e cercava di districarsi dalla presa. Dal vostro racconto penso di poter mettere in relazione il rapimento di Sita con quella storia.
“Sapete perché vi dico tutto questo? Ve lo dico perché voglio vendicare la morte di mio fratello, e vi dirò anche dove si trova il regno di quel demone. Sicuramente troverete Sita lì. Quel Raksasa era Ravana e il suo regno è l’isola di Lanka.”
A quella notizia tutti i Vanara sgranarono gli occhi dalla gioia: non speravano più di trovare anche la minima traccia di Sita, che sembrava svanita nel nulla. Tutti cominciarono a saltare dalla gioia e si abbracciarono.
“Amico nostro carissimo,” disse il saggio Jambavan a Sampati. “Non puoi neanche immaginare quanto conforto e felicità ci abbia dato questa notizia. Ma come sei venuto a sapere di questo fatto?”
“Io ho un figlio che si chiama Suparsva,” rispose. “Da quando le mie ali sono state bruciate dal sole è lui a procurarmi il cibo e ogni giorno viene nella caverna dove abito. Un giorno arrivò in ritardo e gliene chiesi le ragioni. Ero molto affamato e mi accorsi in modo particolare del ritardo. Mi raccontò che aveva visto un gigantesco Raksasa che volava e che portava con sé una donna giovane e bella che si dimenava e urlava: Rama! Rama! Si incuriosì su chi potesse essere quel Raksasa così maestoso e lo chiese ai saggi della montagna: loro gli dissero che era Ravana e che quella donna era Sita. Ora sapete perché ero al corrente del passaggio di Ravana.”
“Ora voglio raccontarvi alcuni dettagli della mia storia che ancora non sapete.
“Quando caddi sulla montagna con le ali bruciate e completamente inutilizzabili, scesi faticosamente dal picco di questa montagna e lì vicino incontrai un saggio di nome Nishakara. Lui mi vide e mi chiese:
“Cosa ti è successo? Perché le tue ali sono bruciate?”
“E io gli dissi: cercando di proteggere la vita di mio fratello mi sono avvicinato troppo al sole e così mi sono bruciato. In questa condizione la mia vita non ha senso e quindi desidero morire saltando giù dal picco della montagna.”
“No, non farlo,” disse il misericordioso saggio. “Non ti preoccupare per questa tua infermità perché riavrai presto le tue ali. Un giorno incontrerai i fedeli Vanara amici di Rama, alla ricerca della sua cara moglie. Se tu darai loro le indicazioni necessarie per ritrovarla riacquisterai le tue ali.”
E proprio mentre Sampati parlava con i Vanara, un paio di meravigliose ali spuntarono dal suo corpo. Colmo di gioia, Sampati spiccò il volo e cominciò a volteggiare in cielo.
“Non preoccupatevi, presto ritroverete Sita. Andate più a sud, oltre l’oceano. Sita è lì,” gridò dall’alto.
E scomparve in cielo. Rincuorati da Sampati, i Vanara si diressero più a sud.
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