D: Molti studiosi delle lingue e filosofie orientali sono concordi nel definire politeistiche la maggior parte delle correnti religiose indiane, proprio per la presenza dei numerosi nomi che determinerebbero l’Assoluto. Perché tutto ciò? Usando tutti questi appellativi, non si rischia effettivamente di creare confusione, di essere scambiati per adoratori di più divinità?
R: Questo rischio lo corrono i più superficiali, non coloro che studiano con un minimo di serietà e attenzione.
Dio è un termine che prende la sua origine dal sanscrito (la radice è div), e vuol dire “colui che ha per sede il cielo”. E’ un termine generico che indica l’Essere Supremo, il Creatore, Colui che ha generato tutto ciò di cui abbiamo esperienza e della quale siamo partecipi. Ma è anche il principio generatore di tutto ciò di cui non abbiamo ancora avuto la possibilità di sperimentare.
Ora, se Dio è l’artefice, deve avere in sé tutte le caratteristiche della sua creazione. Difatti l’autore di una cosa deve possedere le qualità presenti nella sua produzione, altrimenti come potrebbe averla concepita?
E’ giocoforza che abbia insite nella sua natura tutte le bellezze della creazione al loro massimo grado di realtà, e tutte le caratteristiche vitali e personali. Se diamo una sguardo al mondo intorno, notiamo che esiste un numero di oggetti e situazioni praticamente infinito. Questa è la ragione per cui gli appellativi con i quali ci si può rivolgere a lui sono similmente infiniti.
Ci si può rivolgere a Dio con termini che indichino le Sue caratteristiche. Ma non equivochiamo: Dio è uno e uno solo.
Questa è una sezione del libro “La Filosofia del Bhakti Yoga”, in lingua italiana.
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