Il figlio di Ravana era in possesso di un’arma particolare chiamata naga-pasa, che dalle frecce produceva serpenti che legavano o uccidevano coloro che ne erano colpiti. Con grande destrezza Indrajit scagliò l’arma micidiale e, gravemente feriti, Rama e Laksmana caddero sul terreno, immobili: sembravano morti. Quando i Vanara videro le loro condizioni, si disperarono e cercarono di farli tornare ai loro sensi. Ci fu un certo tumulto fra i Vanara, che si credettero senza una guida e non sapevano più da chi ricevere gli ordini. La battaglia diventò caotica. Indrajit invece tornò dal padre e gli dette la buona notizia. Ravana proruppe in un grido di vittoria.
“Finalmente stiamo tornando in noi. Quegli uomini non possono resistere sul campo di battaglia contro i nostri migliori guerrieri. Guardie, ordinate alle donne che vigilano su Sita di condurla sul campo e di mostrarle le condizioni di Rama.”
Sita sul campo di battaglia
Condotta sul carro Puspaka, Sita vide il campo di battaglia, dove migliaia di persone stavano rischiando la vita per lei. C’era un polverone fitto, e lo spettacolo della morte era spaventoso. Vide il marito disteso sul terreno e pianse disperatamente, credendolo morto. Ma poi si calmò.
“I saggi della foresta mi hanno predetto,” pensò, “che io non sarò mai vedova e che sarei diventata madre. Le predizioni di quei santi non possono essere false. Rama non può essere morto. Forse è ferito, o forse è svenuto.”
E proprio mentre era assorta in quei pensieri, Trijata le si avvicinò.
“Sita, non hai ragione di angustiarti,” le bisbigliò all’orecchio. “L’energia divina, la sua misericordia e benevolenza, è dalla tua parte. La rettitudine è la tua arma e non può mai fallire, mai essere sconfitta. Presto sarai libera da questa ingiusta prigionia.”
Sita venne ricondotta indietro.
Faticosamente, Rama mosse un braccio. Poi l’altro. I Vanara gridarono dalla gioia. Non era morto. Gradualmente riprese coscienza e si alzò. Vide Laksmana disteso sul terreno. Non riuscendo a farlo riavere ebbe paura di averlo perduto. In quella situazione di timore Garuda, l’aquila che eternamente trasporta Vishnu e che è nemico dei serpenti, apparve e mise in fuga i naga-pasa.
Laksmana gradualmente tornò alla coscienza. Vedendo Rama e Laksmana liberi dall’arma del terribile figlio di Ravana, i Vanara produssero grida di gioia ancora più forti, che vennero udite dai Raksasa. Tutti tornarono a combattere con incontenibile entusiasmo.
Importanti generali di Ravana perdono la vita
La battaglia riprese. I rumori erano assordanti, il campo di battaglia un immenso cimitero. Avvertito che i suoi nemici si erano in qualche modo liberati dall’influenza del naga-pasa, Ravana mandò contro di loro un potente generale. Costui si chiamava Dhumraksha, e mai aveva conosciuto la sconfitta. Dopo un violentissimo combattimento fu ucciso da Hanuman.
Altri possenti Raksasa, accompagnati dai loro battaglioni, furono mandati sul campo di battaglia, ma tutti seguirono la sorte di Dhumraksha: Vajradamshtra fu ucciso da Angada, Akampana da Hanuman.
Anche il grande e famoso Prahasta, il più stretto collaboratore di Ravana e il suo amico più caro, fu ucciso da Nila.
La morte di Prahasta fu un duro colpo per Ravana. La sua furia divampò. E scese in persona sul campo di battaglia. Fu terrificante. Gettò lo scompiglio e il terrore nell’esercito avversario e uccise in pochi minuti migliaia di Vanara.
Dapprima Laksmana, poi Hanuman e via via altri lo affrontarono, ma dovettero ritirarsi.
Poi si trovò faccia a faccia contro Rama. Dopo un breve ma intenso combattimento, Ravana dovette battere in ritirata e rifugiarsi a Lanka.
Lì decise di porre fine alla guerra svegliando il grande Kumbhakarna.
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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